Apr 272015
 

Ho già detto che mia madre si era decisa a questa partenza per Parigi perché le era dovuta una somma considerevole da parte di un mercante di sua conoscenza, e che dal pagamento di questa somma dipendeva la nostra fortuna. D’altra parte, anche mia madre aveva parecchi debiti, e il suo commercio andava piuttosto male. Prima di partire da Volnot, ella aveva affidato tutti i suoi affari nelle mani di un avvocato suo parente, che completò la sua rovina. Mia madre venne a sapere che tutto era finito per lei lo stesso giorno che per colmo di sfortuna le venne annunciato che il suo debitore di Parigi, oberato e pressato insistentemente da una moltitudine di creditori, aveva appena fatto una bancarotta fraudolenta e completa. Non si può resistere a tante disgrazie in una volta; la mia povera madre cadde sotto il colpo, e una febbre maligna la distrusse in otto giorni.

Eccomi dunque a Parigi, abbandonata a me stessa, senza amici, graziosa (a quel che mi si diceva) e ben istruita, sì, ma senza sapere nulla di come va il mondo.

Mia madre prima di morire mi aveva donato una borsa contenente quattrocento luigi d’oro: trovandomi allora ben fornita di biancheria e di vestiti, mi credetti ricca. La prima cosa che mi venne in mente fu di rinchiudermi in un convento e di farmi suora; ma quello che avevo sofferto altre volte in un posto simile, e in più i consigli di una signora mia vicina con la quale avevo fatto conoscenza, mi fecero cambiare partito.

Questa signora, tale Bois-Laurier, occupava un appartamento accanto al mio, in un albergo ammobiliato. Ella ebbe la bontà di non lasciarmi mai sola durante il primo mese che seguì la morte di mia madre, e le debbo eterna riconoscenza per le cure che ebbe nel consolarmi dall’afflizione in cui ero caduta. Madame Bois-Laurier, come sapete bene, era una di quelle donne che la necessità aveva costretto, in gioventù, a servire ai piaceri del pubblico libertinaggio e che ora come tante altre, voleva apparire (poiché nessuno la conosceva), una donna onesta, con l’aiuto di una rendita vitalizia che si era assicurata con i risparmi del suo antico mestiere.

Intanto, l’afflizione che mi divorava lasciò pian piano posto alle riflessioni. Ebbi paura per l’avvenire e mi aprii con la mia amica, confidandole lo stato delle mie finanze e tutto ciò che di spaventoso intravedevo nella mia situazione. Ella aveva un carattere assai saldo e rafforzato dall’esperienza. «Come siete poco saggia», mi disse una mattina, «a preoccuparvi per l’avvenire: è una cosa incerta per tutti, per i più ricchi come per i più poveri. A voi, comunque, dovrebbe apparire meno critico che a un’altra! Forse che una ragazza con i vostri meriti, il vostro corpo, il vostro viso, si troverà mai in imbarazzo se si comporterà con un po’ di prudenza? No, piccolina, non inquietatevi: vi troverò io quello che fa per voi; forse addirittura un marito, visto che la vostra aspirazione sembra essere il matrimonio. Ahimè! Mia povera bambina, voi non conoscete affatto quanto vale realmente questo matrimonio che vagheggiate! Comunque, lasciate fare a me: una donna di quarant’anni, con l’esperienza di una di cinquanta, sa quello che ci vuole per una ragazza come voi. Vi farò da madre», aggiunse, «e da guida per inserirvi nel mondo. Fin da oggi vi presenterò a un mio zio, B…, che deve venire a trovarmi; è un ricco finanziere, un uomo onesto, che vi troverà ben presto un buon partito».

Saltai al collo della Bois-Laurier, ringraziandola di tutto cuore: la buona fede e il tono rassicurante con cui mi parlava mi avevano persuasa che ormai la mia fortuna era sicura.

Quanto può essere sciocca una ragazza con molto amor proprio e poca esperienza! Le lezioni dell’Abate T… mi avevano aperto bene gli occhi sul ruolo che dobbiamo giocare quaggiù nei confronti di Dio e delle leggi umane, è vero: non avevo, però la minima conoscenza di come va il mondo. Mi sembrava che tutto quello che vedevo, tutto quello che mi si diceva, fosse pieno dell’onestà che avevo trovato in Madame C… e nell’Abate T…: l’unico malvagio, per me, era il Padre Dirrag. Povera innocente, mi ingannavo grossolanamente! Il finanziere B… arrivò da Madame Bois-Laurier verso le cinque del pomeriggio. Occupò le prime ore della sua visita senza dubbio in cose che non mi riguardavano. La nipote era troppo astuta per non mettere lo zio del tutto a suo agio, in modo che nulla venisse tolto al mio fascino, che lei definiva “pericoloso”. La faccenda andò per le lunghe. Finalmente, verso le sette fui presentata a Monsieur B…, al quale feci, entrando, una profonda riverenza, senza che lui si degnasse nemmeno di alzarsi. Mi invitò allora a sedere su una sedia a lato della poltrona dove stava mezzo sdraiato, spingendo in avanti il suo grosso ventre che la camicia stentava a coprire. Mi ricevette, insomma, con l’aria e le maniere tipiche delle persone del suo stato: tutto mi sembrò, comunque, abbastanza passabile; perfino i complimenti che fece sulle mie cosce, che definì belle sode, dopo avervi poggiato brutalmente la mano e strette con tutte le sue forze, al punto di farmi gridare.

«Mia nipote mi ha parlato di voi», disse senza prestare attenzione al male che mi aveva fatto. «Porco diavolo! Avete certi denti, certe belle cosce sode! Oh, faremo qualcosa di voi! Fin da domani vi farò pranzare con un mio collega, che possiede una stanza grande quanto questa piena d’oro. Conosco il suo carattere, si innamora subito. Abbiatene cura: un buontempone, ve lo garantisco, e ne sarete contenta. Addio, bambine mie», aggiunse alzandosi e abbottonandosi il vestito, «abbracciatemi tutt’e due e guardatemi come se fossi vostro padre. Tu nipote, manda a dire a casa mia che ci si prepari da mangiare».

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