Il buon Padre entrò. «Buongiorno, mia cara sorella in Dio!», disse, «che lo Spirito Santo e San Francesco siano con voi!».
Eradice voleva gettarsi ai suoi piedi, ma egli la fece alzare e sedere accanto a lui. «È necessario», le disse il sant’uomo, «che vi ripeta i princìpi ai quali dovrete ispirarvi in tutte le azioni della vostra vita… Ma parlatemi prima delle vostre stigmate: quella sul petto è sempre nello stesso stato? Vediamo un po’». Eradice si sentì subito in dovere di scoprire la sua tetta sinistra, sotto la quale si trovava la stigmate. «Ah! Sorella mia! indietro!», le disse il Padre. «Indietro! Copritevi il seno con questo fazzoletto (e gliene tese uno), certe cose non si addicono a un uomo del mio stato. È sufficiente che io veda la piaga che San Francesco vi ha impresso. Ah, c’è ancora. Bene, sono contento. San Francesco vi ama sempre, la piaga è vermiglia e pura. Ho avuto cura di portare ancora con me il santo pezzo del suo cordone; ne avremo bisogno per i nostri esercizi. Vi ho già detto, sorella mia», continuò, «che vi distinguo da tutte le mie penitenti vostre compagne perché vedo che Dio stesso vi distingue dal suo santo esercito, come il sole è distinto dalla luna e dagli altri pianeti. È per questo motivo che non ho temuto di rivelarvi i suoi misteri più nascosti. Come vi ho detto, mia cara sorella, dimenticate voi stessa e lasciate fare. Dio non vuole dagli uomini che il cuore e lo spirito. È dimenticando il corpo che si giunge a unirsi a Dio, alla santità, a operare miracoli. Non posso nascondere, mio piccolo angelo, che nel nostro ultimo esercizio il vostro spirito era ancora legato alla carne. Oh! come potete pensare di imitare quei felicissimi martiri che furono flagellati, attanagliati, bruciati sul rogo, senza soffrire il minimo dolore? La loro immaginazione era riempita a tal punto dalla gloria di Dio, che nessun pensiero in loro era rivolto ad altro. È un meccanismo chiaro, mia cara figliola: noi ci formiamo un’idea del bene e del male fisico come del bene e del male morale solo attraverso la voce dei sensi. Tramite i sensi tocchiamo, vediamo, sentiamo e così via; alcune particelle di spirito si insinuano nelle piccole cavità dei nervi che avvertono l’anima. Se avrete abbastanza fervore per raccogliere, con la forza della meditazione, tutte le particelle di spirito che sono in voi applicandole all’amore che dovete a Dio, è sicuro che non ne resterà nessuna per avvertire l’anima dei colpi che la vostra carne riceverà. Non li sentirete neppure. Immaginate un cacciatore, il pensiero concentrato sul piacere di catturare la selvaggina che insegue: non sente né i rovi né le spine che lo graffiano mentre attraversa il bosco. Così voi, assai meglio di lui, impegnata in una cosa mille volte più importante, come potrete sentire i colpi della disciplina se la vostra anima è fermamente occupata dalla felicità che vi aspetta? Tale è la pietra di paragone che ci porta a compiere dei miracoli, tale deve essere lo stato di perfezione che ci unisce a Dio. Cominciamo, dunque, figliola cara. Assolvete bene i vostri doveri e state pur certa che con l’aiuto del cordone di San Francesco e della vostra meditazione questo pio esercizio terminerà in un torrente di delizie inesprimibili. Mettetevi in ginocchio, bambina mia, e scoprite quelle parti della carne che sono i motivi della collera di Dio: la mortificazione che proveranno unirà intimamente il vostro spirito a lui. Ve lo ripeto: dimenticate voi stessa e lasciate fare».
Eradice obbedì subito senza replicare. Si pose su di un inginocchiatoio, come per pregare, un libro aperto davanti; poi alzando le sottane e la camicia fino alla cintola, lasciò vedere due natiche bianche come la neve e di un ovale perfetto, sostenute da due cosce di proporzioni ammirevoli. «Sollevate di più la camicia», disse lui, «così non va bene. Ecco, così. Ora giungete le mani ed elevate l’anima a Dio: riempite il vostro spirito col pensiero della felicità eterna che vi è stata promessa».
Quindi il Padre avvicinò uno sgabello sul quale si inginocchiò, lateralmente, dietro di lei; sotto la sua veste, che alzò e fissò sotto la cintura, vi era una lunga e grossa sferza, che diede da baciare alla sua penitente.
Attenta allo svolgimento di questa scena, ero piena di un santo orrore; sentivo un tremito così forte che non posso descrivere. Eradice taceva. Il Padre percorreva con occhi di fuoco le natiche che gli servivano da bersaglio; e come ebbe fissato lì il suo sguardo, sentii che diceva a bassa voce, in tono di ammirazione: «Ah! che bel collo! che tette magnifiche!…». Si inginocchiava, si rialzava a tratti, borbottando qualche versetto: nulla sfuggiva alla sua lascivia. Dopo qualche minuto chiese alla penitente se la sua anima era entrata in contemplazione.
«Sì, mio reverendissimo Padre», disse lei, «sento che il mio spirito si sta distaccando dalla carne e vi supplico di cominciare la santa opera». «Sta bene», riprese il Padre, «il vostro spirito può essere contento». Recitò ancora qualche preghiera e la cerimonia ebbe quindi inizio con tre colpi di verga dati assai piano sul didietro. Questi tre colpi furono seguiti dalla recitazione di un versetto e poi da altri tre colpi un po’ più forti. Dopo cinque o sei versetti sempre interrotti da questo diversivo, quale non fu la mia sorpresa quando vidi Padre Dirrag sbottonarsi i pantaloni e tirare fuori uno strale infiammato che rassomigliava a quel serpente fatale che mi aveva attirato i rimproveri del mio primo direttore! Questo mostro aveva acquistato la grossezza, la consistenza e la lunghezza predette dal Cappuccino; mi faceva rabbrividire. La sua testa rubiconda sembrava minacciare le natiche di Eradice, che erano diventate del più bell’incarnato.
«Dovete essere», egli disse, «nel più perfetto stato di contemplazione: la vostra anima deve distaccarsi dai sensi. Se la mia bambina non inganna le mie sante speranze, in questo momento non vede più, non sente più, non percepisce più nulla».
Così dicendo il carnefice sferzò tutte le parti scoperte del corpo di Eradice. Nel frattempo lei non parlava: sembrava immobile, insensibile a quei terribili colpi. Non riuscivo a scorgere altro movimento che quello convulso delle natiche, che si serravano e disserravano a ogni istante.
«Sono contento di voi», disse lui dopo un quarto d’ora di questa crudele disciplina. «È tempo che cominciate a gioire dei frutti del vostro santo lavoro; non ascoltatemi, cara fanciulla, ma lasciatevi guidare. Prosternatevi con la faccia a terra: vado, con il venerabile cordone di San Francesco, a cacciare via quel che rimane di impuro dentro di voi».
Il buon Padre la mise in effetti in una posizione davvero umiliante, ma che era la più comoda per i suoi desideri. Mai era stata presentata in modo migliore; le sue natiche erano separate soltanto da una sottile fessura che avrebbe interamente scoperta, fra poco, la doppia via dei piaceri.
Dopo un istante di contemplazione, il bacchettone umettò di saliva quello che chiamava il cordone e, mentre farfugliava qualche parola in tono da farla sembrare l’esorcismo di un prete per cacciare il diavolo dal corpo di un indemoniato, il reverendo si accinse a infilarlo dentro.