Quando l’Abate T… ebbe terminato il suo discorso, Madame C… lo ringraziò con parole che lasciavano trasparire tutta la sua soddisfazione.
«Sei adorabile, mio caro amico», disse saltandogli al collo. «Come sono felice di conoscerti, di amare un uomo che pensa così giustamente! Sta pur certo che non abuserò mai della tua confidenza e che seguirò sempre questi princìpi».
Dopo alcuni baci che si scambiarono ancora vicendevolmente e che mi annoiarono abbastanza a causa della scomoda situazione in cui mi trovavo, il mio pio direttore e la sua docile seguace scesero dabbasso, nella sala di ricevimento. Raggiunsi prontamente la mia camera, dove poco dopo vennero a chiamarmi da parte di Madame C…: le feci rispondere che non avevo chiuso occhio tutta la notte, e che la pregavo di lasciarmi qualche ora per riposare. Mi ripromettevo, invece, di mettere per iscritto ciò che avevo appena udito.
Mi trovavo sola, con l’immaginazione come esaltata, eccitata da tutto quello che avevo visto e sentito; così, mi venne la voglia di ripetere fedelmente la scena lussuriosa che avevo appena visto interpretare da Madame C… e dall’Abate T…, e dove io avevo avuto un ruolo, sia pure a loro insaputa.
Cominciai dunque a rifare con esattezza tutte le posizioni, gli atteggiamenti e i movimenti voluttuosi di Madame C…, riflettendo con dispiacere che mi mancava uno dei protagonisti, afflitta per non avere a disposizione nemmeno uno di quegli strumenti tanto utili alle monache e tanto vantati dall’Abate. Mentre cercavo un modo di rimpiazzarlo, mi venne la felice idea di pensare a una candela benedetta che mi aveva regalato il reverendo Padre Dirrag, dicendomi che veniva da Arras. Era una cosa che da molto tempo mi era inutile, ma in quel momento, quasi per una raffinatezza di voluttà, la considerai adattissima a servire da sostituto o, per meglio dire da godemiché. La impugnai dunque con ardore e speranza, e la immersi più volte dentro di me… Ben presto, effetto meraviglioso! quella beata candela si squagliò e io caddi in un’estasi simile a quella che il Padre Dirrag sapeva provocare alla sua devota Eradice con il cordone di San Francesco. Quindi mi misi a letto, e non avendo davvero chiuso occhio tutta la notte precedente, non tardai ad assopirmi, e per tre ore dormii del sonno più dolce e tranquillo della mia vita.
Quelle giornate in campagna trascorsero così, in bella amicizia, quando mia madre venne una mattina ad annunciarmi in fretta che il nostro viaggio a Parigi era fissato per l’indomani. Quel giorno mia madre e io pranzammo ancora una volta in casa di Madame C…, che lasciai versando un torrente di lacrime. Questa donna adorabile, più unica che rara, mi colmò di carezze e mi seppe dare i più saggi consigli senza dire nulla di opprimente o di inutile. L’Abate T… aveva dovuto recarsi in una città vicina, dove si sarebbe trattenuto per otto giorni, ragion per cui non lo vidi affatto. Per dormire facemmo ritorno a Volnot, dove tutto era pronto per la partenza. Il giorno dopo arrivammo con una vettura a Lione, da dove la diligenza ci avrebbe condotte a Parigi.