Poco dopo eravamo arrivate, e ci accomodammo in un delizioso salottino in riva al mare.
Dopo aver parlato per un po’ del più e del meno, Madame C… mi chiese se avevo qualcosa di nuovo da raccontarle, se davvero ero stigmatizzata e come mi trovavo sotto la direzione spirituale del Padre Dirrag.
«Non vi posso nascondere», aggiunse, «che sono così stupita da questo genere di miracoli che desidero ardentemente vedere con i miei occhi se esistono davvero. Andiamo, piccola mia, non nascondetemi nulla; spiegatemi quando e in che modo sono comparse queste piaghe. Potete star certa che non abuserò della vostra confidenza; e credo che mi conosciate abbastanza bene da non dubitarne».
Ho detto che le donne sono curiose; devo aggiungere che amano anche chiacchierare, e io avevo un po’ quest’ultimo difetto. Dopo qualche bicchiere di Champagne che mi aveva fatto girare la testa stavo piuttosto male e non ci volle molto per farmi parlare. Risposi dunque con molta naturalezza a Madame C… che non avevo la gioia di essere nel numero di queste elette del Signore, ma che proprio quella mattina avevo visto le stigmate di Mademoiselle Eradice, e che il reverendissimo Padre Dirrag le aveva esaminate in mia presenza. Nuove domande pressanti di Madame C…, che per filo e per segno, di circostanza in circostanza, mi costrinse senza che me ne accorgessi a renderle conto non solo di quello che avevo visto in casa di Eradice, ma anche di ciò che mi era successo in camera e dei dolori che ne erano derivati.
Dopo questa singolare narrazione, Madame C… ebbe la prudenza di non mostrare la minima sorpresa: lodò ogni cosa per costringermi a rivelarle tutto. Quando mi trovavo imbarazzata per trovare i termini adatti a spiegare le mie idee su quello che avevo visto, pretendeva da me certe descrizioni la cui lascivia doveva divertirla molto in bocca a una ragazza della mia età e così semplice come ero io. Mai, forse, tante infamie sono state dette e udite con tanta compostezza.
Quando finii di parlare, Madame C… sembrava immersa in riflessioni molto serie; rispose a monosillabi a qualche domanda che le posi. Ritornata in se stessa, disse che tutto ciò che aveva appena ascoltato era assai singolare e che meritava molta attenzione; che, mentre aspettava di sapere qual era la mia opinione e che posizione intendevo prendere in proposito, dovevo cercare di calmare quel dolore che sentivo bagnando con del vino caldo le parti che erano state irritate dallo strofinamento sulla colonna del letto.
«Guardatevi bene, bambina mia», aggiunse, «dal raccontare a vostra madre o a chiunque altro, e tantomeno al Padre Dirrag quello che mi avete appena confidato. C’è, in tutto questo, del bene e del male. Ritornate qui da me domani mattina verso le nove: vi dirò tutto il resto. Contate sulla mia amicizia: l’eccellenza del vostro cuore e del vostro carattere ve l’ha interamente acquistata. Ma ecco che arriva vostra madre; andiamole incontro e parliamo di tutt’altre cose».
Monsieur l’Abate T… arrivò un quarto d’ora dopo. In provincia si cena abbastanza presto: erano appena le sette e mezza quando venne servito e ci mettemmo a tavola.
Durante la cena Madame C… non poté trattenersi dal fare qualche battuta salace sul Padre Dirrag; l’Abate ne parve sorpreso e, sia pure con delicatezza, la biasimò.
«Perché», le disse, «non dovremmo lasciare ognuno libero di comportarsi come crede, a patto che la sua condotta non sia contraria all’ordine stabilito? Finora, il Padre Dirrag non ha commesso nulla che se ne discosti. Permettetemi dunque, signora, di non essere della vostra opinione finché dei fatti non giustificheranno le idee di cui volete convincermi».
Madame C…, per non essere obbligata a rispondere, cambiò subito con abilità l’argomento della conversazione. Ci alzammo da tavola verso le dieci: Madame C… bisbigliò qualcosa all’orecchio dell’Abate, il quale venne via con me e mia madre, riaccompagnandoci a casa.
Mi sembra giusto, caro Conte, che a questo punto vogliate sapere qualcosa sia sul conto di Madame C… sia sull’Abate T…: penso sia tempo che ve ne dia un’idea.
Quando era ragazza, Madame C… fu costretta dai suoi genitori a sposare, appena a quindici anni, un vecchio ufficiale di marina che ne aveva sessanta. Costui morì dopo cinque anni di matrimonio, lasciando Madame C… incinta di un bambino che venendo al mondo rischiò di far perdere la vita a colei che gli dava la luce. Questo bambino morì nel giro di tre mesi, e Madame C… si trovò così a essere l’erede di una sostanza considerevole. Vedova, graziosa, padrona di se stessa all’età di vent’anni, fu ben presto ricercata da tutti i pretendenti della provincia; ma ella si espresse così chiaramente sul proposito di non voler più correre i rischi da cui era scampata quasi per miracolo mettendo al mondo il suo primo figlio, che alla fine anche i più tenaci abbandonarono la partita.
Madame C… era una donna intelligente e costante nei suoi sentimenti, che non manifestava se non dopo averli scrupolosamente esaminati. Amava molto la lettura e le piaceva intrattenersi sugli argomenti più disparati. La sua condotta era irreprensibile. Amica eccellente, cercava di rendersi utile in tutto ciò che poteva: mia madre ne aveva fatta utile esperienza. Al tempo di questa mia storia, ella aveva ventisei anni… Ma avrò occasione in seguito di farvi il suo ritratto.
Monsieur l’Abate T…, amico intimo e nello stesso tempo confessore di Madame C…, era un uomo davvero meritevole. Poteva avere dai quarantatré ai quarantacinque anni, piccolo ma ben fatto, con una fisionomia aperta e spirituale. Attento osservatore delle convenienze del suo stato, amava e ricercava le buone compagnie, di cui faceva le delizie. Al suo grande spirito aggiungeva una vasta cultura. Le sue buone qualità gli avevano fatto ottenere la carica che ricopriva, e che qui io debbo tacere. Era il confessore e l’amico di persone in vista di ambo i sessi, come il Padre Dirrag lo era dei devoti di professione, degli entusiasti, dei contemplatori, dei fanatici.