Ma Lica, infiammato dalla rabbia, salta su e dice: «Stupida d’una donna! Cosa ti credi, che gliel’abbiano incise col ferro rovente quelle lettere? Magari avessero davvero la fronte deturpata da quel marchio! Se così fosse, noi adesso avremmo almeno una piccola consolazione. Invece ci hanno preso in giro con tiri da farsa, infinocchiandoci con una finta scritta».
Trifena era disposta alla pietà, perché non aveva ancora perso del tutto la speranza di spassarsela, ma Lica, che si ricordava benissimo della moglie sedotta e dell’affronto patito sotto il portico di Ercole, con la faccia stravolta dalla rabbia disse: «Che gli dèi immortali si occupano delle cose umane, mi sa che ormai l’hai capito benissimo, Trifena. Infatti ci hanno portato qui sulla nave queste canaglie senza che loro se ne rendessero conto, e ce ne hanno segnalato la presenza con due sogni identici. Vedi un po’ se li possiamo perdonare, quando son stati gli dèi in persona a mandarceli qui perché fossero castigati. Personalmente non ho intenzione di infierire, ma temo che risparmiandoli debba poi essere io a pagarla cara». Trasformata nella sua opinione da un discorso tanto pieno di scrupoli religiosi, dice di non volersi opporre alla pena, approvando anzi in pieno la vendetta proposta. Infatti anche lei, non meno di Lica, era stata offesa nella dignità individuale e svergognata di fronte a tutti.
*
EUMOLPO. «Questo incarico lo hanno affidato a me, in qualità di persona a voi non sconosciuta, e mi hanno pregato di riconciliarli con quelli che un tempo erano loro grandissimi amici. A meno che non pensiate che questi due ragazzi siano qui per una pura coincidenza, quando la prima cosa che ogni passeggero chiede prima di imbarcarsi è proprio l’identità delle persone cui si affida. Siate quindi comprensivi, ora che avete avuto la vostra soddisfazione, e lasciate che proseguano liberi e senza danni il loro viaggio fino a destinazione. Anche i padroni più duri e inflessibili moderano il loro risentimento quando gli schiavi fuggiti tornano pentiti, e noi risparmiamo la vita ai nemici che si arrendono. Che cosa altro volete o pretendete di più? Sono qui supplici al vostro cospetto dei giovani di buona famiglia, onesti, e – cosa questa che conta ancora di più – legati a voi in passato da rapporti di grande intimità. Anche se vi avessero portato via del denaro, o avessero tradito la vostra fiducia, potreste per dio farvi bastare la pena di cui siete al presente testimoni. Eccoveli qua, col marchio dell’infamia sulla fronte, e i nobili volti sfregiati dai simboli di una punizione che si son voluti infliggere da soli». Ma Lica troncò di netto l’arringa del nostro difensore dicendo: «Non confondere le carte in tavola, ma limitati ad esaminare le cose una per volta. Tanto per cominciare, se sono venuti di loro spontanea volontà, per quale ragione si sono rasati la testa? Chi cambia i suoi lineamenti, prepara un inganno con una scusa, mica per venirsi a scusare. E poi, se pensavano di ottenere il perdono per tramite tuo, tu perché hai fatto di tutto per nasconderli? Ne consegue che questi due avanzi di galera nella rete ci sono finiti per caso, e tu hai cercato di sottrarli alla rabbia della nostra punizione. Quanto poi al tuo tentativo di metterci in cattiva luce starnazzando che questi due sono onesti e di buona famiglia, sta’ attento a non peggiorare la situazione con questo tuo tono tronfio. Che cosa deve fare la parte lesa, quando il colpevole si va a costituire? Ma sono stati nostri amici: a maggior ragione meritano un castigo più duro, perché chi fa del male a uno sconosciuto lo chiamiamo furfante, mentre chi lo fa agli amici è poco meno di un parricida». Eumolpo, cercando di confutare una requisitoria tanto spietata, disse: «Mi rendo perfettamente conto che questi due giovani non potevano commettere nulla di peggio che tagliarsi i capelli nel cuore della notte, e questo spiegherebbe il fatto che sulla nave costoro ci sono arrivati per caso e non per loro spontanea volontà. Ma in tutta franchezza vorrei vi fosse chiaro in che modo si siano semplicemente svolte le cose. Prima di imbarcarsi, volevano liberarsi la testa di tutto quel peso superfluo e fastidioso, ma l’improvviso rinforzo del vento li distolse dal mettere in pratica quell’igienico proposito. Ritennero tuttavia che per portare a termine quanto avevano deciso di fare il dove non avesse alcuna importanza, dato che non erano al corrente né delle credenze né delle superstizioni tipiche di chi naviga». «Ma per ottenere il nostro perdono» interruppe Lica «c’era forse bisogno di farsi radere i capelli? Non sarà mica che i calvi, di solito, destano più pena? Ma che senso ha arrivare alla verità attraverso un intermediario? Tu, piuttosto, che cosa ne dici, razza di cialtrone? Quale salamandra ti ha fatto cadere le sopracciglia? A quale divinità hai votato le chiome? Rispondi, canaglia!».
Terrorizzato all’idea della punizione, io me ne stavo lì imbambolato e, confuso com’ero di fronte all’evidenza dei fatti, non sapevo cosa ribattere… e oltretutto la vergogna di avere la testa rapata e la fronte liscia per la mancanza di sopracciglia mi impediva di dire e di fare qualunque cosa. Ma quando poi presero a strofinarmi con una spugna bagnata la faccia rigata dalle lacrime, e l’inchiostro, colando da ogni parte, mi trasformò il viso in un mascherone nero, allora la rabbia si convertì in odio. Eumolpo protestava che non avrebbe permesso a nessuno di infierire in quella maniera, andando contro le leggi della morale, dei giovani di buona famiglia, e cercava di opporsi alle minacce di quelle belve inferocite non solo con le parole ma anche ricorrendo all’uso delle mani. In questa sua fiera opposizione lo spalleggiavano il servo e un paio di passeggeri che però, malmessi com’erano, costituivano un conforto verbale più che un aiuto fisico. Io invece non sto a implorare nulla per me stesso ma, mostrando i pugni a Trifena, mi metto a gridare a squarciagola che sarei ricorso alla violenza se lei, quella stramaledetta femmina che lì sulla nave era l’unica a dover essere presa a nerbate, non avesse smesso di tormentare Gitone. Ma Lica, indispettito da quella mia impudente uscita, perde la tramontana, vedendo che, invece di pensare alla mia situazione, son lì che sbraito tanto per un altro. Anche Trifena, toccata nel vivo dalle mie frecciate, si scatena di brutto, e tutta la ciurma comincia a dividersi in due schiere. Da una parte il servo-barbiere ci distribuisce i suoi rasoi armandosi anche lui; dall’altra i servi di Trifena ci mostrano i pugni, mentre anche le ancelle partecipano allo scontro strillando a più non posso. Soltanto il timoniere dichiara che avrebbe lasciato andare la nave alla deriva, se non cessava la gazzarra provocata dalla foia di quei depravati. Ciò nonostante il furore dei duellanti non accenna a placarsi, decisi com’erano quelli a vendicarsi, e noi a salvare la pelle. Sia di qui che di là ne andarono al tappeto parecchi, anche se nessuno ci lasciò le penne, mentre in molti abbandonarono sanguinanti lo scontro, proprio come in una battaglia vera, senza che però a nessuno si placassero i bollenti spiriti. Allora Gitone, coraggiosissimo, si accostò il rasoio funesto alle parti basse, minacciando di tagliar via la causa di tutti quei guai. Ma Trifena si buttò a impedire un delitto tanto grave, mostrandosi però disposta al perdono. Allora anch’io mi accostai numerose volte il rasoio alla gola, deciso però a togliermi la vita tanto quanto Gitone lo era di mettere in pratica il suo di proposito. Lui però recitava la scenetta tragica con maggiore convinzione, perché sapeva di avere in mano proprio il rasoio col quale si era già in precedenza tagliato il collo. Quando fu chiaro che, stando così le cose da entrambe le parti, quella non sarebbe stata una scaramuccia delle solite, il timoniere ottenne non senza sforzi che Trifena, in qualità di mediatrice, proponesse una tregua. Dopo esserci così scambiati i giuramenti secondo la consuetudine dei nostri padri, Trifena avanza con in mano un ramo d’olivo tolto al dio protettore della nave, e coraggiosamente si fa avanti a parlamentare:
«Quale furore trasforma la pace in guerra?
Che colpa scontano le nostre truppe? Su questa nave
l’eroe troiano non conduce seco
il pegno sottratto all’Atride ingannato;
qui Medea non combatte furiosa per mezzo del sangue fraterno,
ma l’amore spregiato schiera le sue milizie. Ahimè,
chi impugnando le armi desidera affrettare la sorte?
Una morte non è già abbastanza? Non vincete per furia
il mare, altri flutti di sangue non date ai gorghi selvaggi».