E allora che fare? È coi genitori che bisogna prendersela perché non vogliono che i loro rampolli facciano progressi sottostando a severa disciplina. Tanto per cominciare sacrificano tutto, ivi incluse le proprie aspettative, all’ambizione. In secondo luogo, pur di centrare in fretta gli obiettivi, buttano nel foro dei ragazzotti immaturi, e imbottiscono di retorica – che a loro detta non ha eguali – dei bambinetti appena nati. Se invece lasciassero allo studio uno sviluppo graduale, permettendo così ai giovani di modellare le proprie menti sui precetti della filosofia, di migliorare lo stile con rigore impietoso, e di soffermarsi a lungo sui modelli da imitare, convincendosi che non è affatto una gran cosa quello che piace ai bambini, allora sì che la grande oratoria ritroverebbe tutto il prestigio della sua maestà. Ma al giorno d’oggi a scuola i ragazzi passano il tempo a giocare, nel foro i giovani si rendono ridicoli e – cosa ben più umiliante – i vecchi non hanno il coraggio di ammettere di aver studiato in passato soltanto boiate. Ma perché tu non debba pensare che io ce l’ho con le improvvisazioni alla buona alla maniera di Lucilio, eccoti la mia opinione in versi:
Chi punta agli effetti di un’arte austera
e rivolge la mente a grandi cose, depuri
innanzitutto i suoi costumi con princìpi severi.
Sdegni con viso aperto la reggia truce,
non punti a mense ricche da cliente di signori,
non si mescoli alla feccia svilendo nel vino
la fiamma del talento, né sieda in teatro
a fare da claque al soldo di un istrione.
Ma sia che gli sorrida la rocca di Pallade in armi,
o la terra abitata dal colono spartano
o la dimora delle Sirene, dedichi ai versi
i suoi primi anni e beva con animo lieto al fonte Meonio.
Poi, dopo aver pascolato col gregge di Socrate,
spazi pure libero a briglie sciolte brandendo le possenti armi
di Demostene. Lo circondi quindi la massa dei Romani,
e libera dai ritmi greci lo infonda di inediti aromi.
Talora lasci il Foro la penna e fugga via nel vento,
e la Sorte risuoni scandita da un ritmo veloce.
Diano pure lo spunto conflitti cantati da truce cantore,
solenni tuonino le parole dell’indomito Cicerone.
Adòrnati l’animo di queste bellezze: invaso da simili acque feconde,
verserai dal tuo petto parole degne delle Muse».
Occupato com’ero ad ascoltarlo, non mi rendo conto che Ascilto se l’era squagliata… E mentre passeggiavo in giardino nell’imperversare di quel mare di parole, arriva sotto il portico una gran massa di studenti, reduci, lo si capiva benissimo, dalla declamazione estemporanea di un pincopallino che aveva attaccato a parlare dopo l’esibizione di Agamennone. Così, mentre quei giovani se la ridevano dei temi trattati e criticavano l’intera struttura del discorso, prendo la palla al balzo e me la svigno, buttandomi di corsa sulle tracce di Ascilto. Non seguivo però un percorso preciso, né mi ricordavo dove fosse la mia locanda. E così, dovunque mi dirigessi, continuavo a ritrovarmi al punto di partenza, finché, sfinito dalla corsa e ormai fradicio di sudore, mi accosto a una vecchietta che vendeva verdure dei campi e le chiedo: