Una volta eravi un pescatore vecchissimo, e sì povero, che appena guadagnava di che mantenere la sposa e i tre figli. Egli tutti i giorni andava alla pesca nel fiume, e un giorno mentre ritirava le reti alla riva intese qualche resistenza; pensò che doveva esservi del pesce, le tirò con gran pena. Pur pesce non ve n’era: ma vi trovò un vaso di rame giallo, e osservò che era chiuso e suggellato col piombo, avente l’impronta d’un sigillo.
— Io lo venderò al fonditore, — dicea — e dal denaro che ne ricaverò comprerò una misura di biada. Prese il suo coltello, e con qualche pena l’aprì. Lo inclinò subito verso terra: ma non ne uscì nulla. Lo mise davanti a sé e mentre lo considerava attentamente, ne uscì un fumo densissimo che si elevò fino alle nubi, e stendendosi sul mare e sulla ripa, formò un grosso nuvolone.
Allorché il fumo fu tutto fuori dal vaso, si riunì e divenne un corpo solido, da cui si formò un Genio due volte alto, quanto il più grande di tutti i giganti.
— Salomone! — gridò subito il Genio — Salomone! Grande profeta di Dio, perdono! perdono! io non mi opporrò giammai alla vostra volontà, io obbedirò a tutti i vostri comandi…
Il pescatore non appena intese le parole del Genio, si assicurò e gli disse:
— Spirito superbo, che dite! Son più di diciotto secoli che Salomone, il profeta di Dio è morto; narratemi la vostra istoria e ditemi perché vi siete rinchiuso in questo vaso?
A tal discorso il Genio, guardando il pescatore con aria fiera, gli rispose:
— Parlami più civilmente prima che t’uccida!
— E perché mi dovreste uccidere? in che vi ho offeso? — disse il pescatore — così volete ricompensarmi del bene che vi ho fatto?
— Io non posso trattarti altrimenti — disse il Genio;
— e acciocché tu ne sia persuaso, ascolta la mia istoria.
Io sono uno di quegli spiriti ribelli che si opposero alla volontà di Dio. Tutti gli altri Genii riconobbero il gran Salomone per profeta di Dio, e si sottoposero a lui. Sacar, ed io, fummo i soli che non volemmo commettere simile bassezza. Per punirmi ei mi chiuse in questo vaso di rame, e per esser certo che io non forzassi la mia prigione, impresse egli stesso sul coperchio di piombo il suo sigillo ov’è inciso il gran nome di Dio. Fatto ciò, diede il vaso ad un Genio coll’ordine di gettarmi in mare.
Durante il primo secolo della mia prigionia giurai che se qualcuno mi liberava, l’avrei fatto ricco anche dopo la sua morte. Nel secondo secolo giurai di aprire tutti i tesori della terra a chiunque mi mettesse in libertà. Nel terzo promisi di far potente monarca il mio liberatore di stargli sempre vicino, ed accordargli ogni giorno tre domande di qualunque natura si fossero. Infine disperato, giurai di uccidere senza pietà chiunque mi liberasse in seguito, non accordandogli altra grazia che la scelta della morte. Ordunque, poiché tu oggi mi hai liberato, scegli come vuoi ch’io ti uccida?
— Sono assai infelice — esclamò il pescatore — di esser venuto in questo luogo a render un tanto favore ad un ingrato. Considerate, di grazia, la vostra ingiustizia, e rivocate un giuramento sì poco ragionevole.
— No, la tua morte è certa — disse il Genio — scegli solo la maniera che più ti aggrada. — La necessità aguzza l’ingegno. Il pescatore immaginò uno stratagemma.
— Giacché non posso evitare la morte — disse al Genio — io mi sottometto alla volontà di Dio. Ma prima ch’io scelga un genere di morte, vi scongiuro pel gran nome di Dio, che era impresso sul sigillo del profeta Salomone figliuolo di David, di dirmi la verità sopra una domanda che voglio farvi.
— Domandami quello che vuoi, e affrettati…
— Io vorrei sapere se effettivamente eravate in questo vaso; osereste voi giurarlo nel gran nome di Dio?
— Sì — rispose il Genio — giuro che io vi ero.
— In buona fede — rispose il pescatore — io non posso credervi. Questo vaso non potrebbe neanche contenere uno dei vostri piedi; come può esser mai che il vostro corpo vi sia stato chiuso intero?
— Eppure io ti giuro, ch’io vi era come tu mi vedi. E non mi credi tu, dopo il giuramento che ti ho fatto?
— No — disse il pescatore — e non vi crederò affatto, salvo che non me lo facciate vedere.
Allora avvenne una dissoluzione del corpo del Genio, il quale mutandosi in fumo, si stese sul mare e sulla riva, e poi, raccogliendosi, cominciò a rientrare nel vaso e continuò con una lenta ed uguale successione, finché non restò più nulla al di fuori.
Tosto ne uscì una voce che disse:
— Ebbene, incredulo pescatore, eccomi nel vaso; mi credi tu ora?
Il pescatore invece di rispondere al Genio, ghermì il coperchio di piombo e avendo chiuso prontamente il vaso:
— Genio — gli gridò — domandami grazia a tua volta, e scegli di qual morte vuoi ch’io ti faccia morire? Ma no, è meglio che io ti getti nuovamente in mare, nel medesimo luogo d’onde t’ho tratto.
A queste parole il Genio irritato fece tutti gli sforzi per uscire dal vaso, ma non gli fu possibile, perché la impronta del sigillo del profeta Salomone figlio di David ne lo impediva.
Così vedendo qualmente il pescatore aveva allora il vantaggio sopra di lui, prese il partito di dissimulare la sua collera, dicendogli:
— O pescatore, guardati bene dal far ciò. Quello che ho fatto io non era che per far celia e tu non hai da pigliare la cosa sul serio!
— O Genio — rispose il pescatore — tu che eri un momento fa il più grande di tutti i Genii, ed ora non sei che il più piccolo, sappi che i tuoi artificiosi discorsi non ti gioveranno a nulla. Tu tornerai nel mare.
Il Genio non risparmiò nulla per tentare di commuovere il pescatore.
— Apri il vaso — gli disse — dammi la libertà, te ne supplico, e ti prometto che sarai contento di me.
Tu sei un traditore — rispose il pescatore — io meriterei di perdere la vita se avessi l’imprudenza di fidarmi di te. Tu non mancheresti di trattarmi nella stessa guisa che un certo Re greco trattò il medico Douban. È questa un’istoria che voglio raccontarti.