Giu 102024
 

Mio fratello maggiore, chiamato Bacbouc il gobbo, era sarto di professione. Prese in affitto una bottega rimpetto ad un molino, ma conoscendo poco la sua partita, campava la vita con grandi stenti.

Il molinaro al contrario vivea comodamente, e possedeva una bellissima moglie.

Un giorno mio fratello, lavorando nella sua bottega, alzò il capo e vide alla finestra del molino la molinara, la quale guardava nella strada. La trovò tanto bella, da restarne innamorato.

La molinara, appena ebbe penetrato i sentimenti di mio fratello, invece di sdegnarsene, risolse di divertirsi alle spalle di mio fratello. Aveva essa una pezza di stoffa, molto bella, di cui era già lungo tempo che voleva farsi un abito; la involse in un bel fazzoletto di seta ricamato, e gliela mandò per mezzo di una sua giovine schiava. La schiava, perfettamente istruita, venne alla bottega del sarto.

—   La mia padrona vi saluta — gli disse — e vi prega di farle un abito con questo drappo e questo modello.

Mio fratello incaricò la schiava di dire alla sua padrona, che tutto avrebbe abbandonato per servirla subito, e l’abito sarebbe pronto pel giorno seguente.

La mattina seguente la giovine schiava venne a vedere se l’abito era terminato.

Bacbouc glielo consegnò ben piegato, dicendo:

—   Ho troppo interesse di contentare la vostra padrona, per trascurare il suo abito: voglio con la mia prontezza impegnarla a non servirsi in avvenire se non da me.

Non era un quarto d’ora che la schiava aveva lasciato mio fratello quando ritornò con una pezza di raso.

—   La mia padrona, — gli disse — è molto contenta dell’abito, e vi prega di farle un paio di calzoni il più presto possibile con questa pezza di raso.

—   Tanto basta — rispose Bacbouc — potrete venirli a prendere verso sera.

La molinara comparì spesso alla finestra, e fu prodiga de’ suoi vezzi onde dar coraggio a mio fratello. Egli lavorò con diligenza ed i calzoni furono ben presto terminati.

La schiava venne a pigliarli, ma non portò il denaro.

Lo sfortunato amante, tenuto a bada senz’accorgersene, nulla aveva mangiato in tutto quel giorno, sicché fu obbligato di prendere ad imprestito qualche cosa  onde comprarsi da cena.

Il giorno seguente la giovine schiava venne a dirgli, che il molinaro bramava parlargli:

—     La mia padrona — soggiunse — gli ha detto tanto bene di voi mostrandogli il vostro lavoro, da invogliarlo a farvi lavorare per lui pure, e ciò anche per poter riuscire su quanto ugualmente l’una e l’altro di  voi bramate.

Mio fratello si lasciò persuadere e se ne andò al molino colla schiava. Il molinaro lo accolse molto favorevolmente e presentandogli una pezza di tela:

—   Ho bisogno di camicie — gli disse — questa è la tela; vorrei me ne faceste una ventina. Se ve n’avanza, me la restituirete.

—   Mio fratello fu obbligato per cinque o sei giorni a lavorare per cucire le venti camicie del molinaro, il quale poscia diedegli un’altra pezza di tela per farne altrettante paia di mutande. Terminate queste, Bacbouc le portò al molinaro, il quale chiese quanto dovevagli: e mio fratello disse accontentarsi di venti dramme d’argento.

Il molinaro chiamò subito la giovine schiava, e le disse di portare il saggiuolo per vedere se la moneta era giusta. La schiava guardò mio fratello con isdegno per fargli capire ogni cosa esser rovinata se riceveva denaro. Egli comprese subito, e ricusò la sua mercede, ancorché ne avesse estremo bisogno.

Nell’uscir dalla casa del molinaro venne a pregarmi di somministrargli di che vivere, dicendomi non essere stato pagato del suo lavoro. Gli diedi poche monete di rame, e ciò lo fece sussistere qualche giorno magramente, non mangiando se non un po’ di minestra.

Un giorno egli entrò in casa del molinaro, e credendo questi che venisse a cercargli del denaro, gliene offerì: ma la giovine schiava trovandosi presente fecegli di nuovo un cenno, impedendogli di accettarne, dicendo venir solo informarsi di sua salute.

Il molinaro ne lo ringraziò e diedegli da fare una veste. Bacbouc gliela portò il giorno seguente, ed il molinaro pigliò in mano la sua borsa.

La giovine schiava guardò mio fratello.

— Andate — egli disse al molinaro — nulla ci affretta; faremo i conti un’altra volta.

Sicché questo povero sciocco ritirossi nella sua bottega con tre grandi malattie: cioè a dire, innamorato, affamato, senza denaro.

La molinara era avara e trista: non si contentò di aver ingannato mio fratello di quanto gli era dovuto, ma stimolò pure suo marito a vendicarsi dell’amore che quegli aveva per essa.

Il molinaro invitò Bacbouc una sera a cena, e dopo avergli regalato un pessimo banchetto, gli disse: —   Fratello, l’ora, è troppo tarda per ritirarvi alla vostra casa, restate pure qui.

Dopo aver detto questo, lo condusse in un luogo del molino ove eravi un sol letto, indi lo lasciò e ritirossi con sua moglie.

Alla metà della notte il molinaro venne a ritrovar mio fratello.

—   Vicino — gli disse — dormite voi? La mia mula è inferma, ed ho molto frumento da macinare. Molto piacere mi fareste voi girando il molino in sua vece.

Bacbouc per dimostrargli di essere uomo di buona volontà, gli rispose esser pronto a prestargli simile servigio.

Il molinaro allora lo legò a mezzo corpo come si farebbe ad una mula, e dandogli poscia un gran colpo collo staffile sopra la schiena, gli disse:

—   Camminate, vicino!

— E perché mi battete? — gli rispose mio fratello.

—   Per incoraggiarvi — soggiunse il molinaro — perocché senza questo la mia mula non cammina.

Fatti cinque o sei giri, voleva riposarsi: ma il molinaro gli replicò una dozzina di colpi bene assestati collo staffile, dicendogli: —   Coraggio, o vicino, non vi fermate, vi prego; dovete camminare senza prender fiato, altrimenti rovinate la mia farina.

Il molinaro obbligò mio fratello a girare in tal modo il molino per tutto il rimanente della notte. Sul far del giorno lo lasciò senza distaccarlo, e ritirossi nella camera di sua moglie.

Bacbouc stette per qualche tempo in questo stato, e alla fine la giovine schiava venne a levarvelo.

—   Ah! quanto vi abbiamo compianto la mia buona padrona ed io! — esclamò la perfida. — Noi non abbia- mo parte alcuna al pessimo trattamento fattovi da suo marito.

L’infelice Bacbouc nulla le rispose, tanto era lasso e pestato dai colpi, e ritornossene alla casa, facendo una ferma e costante risoluzione di non più pensare alla molinara.

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