Un giorno il Principe Haroun-al-Rascid avvisò il gran visir Giafar di trovarsi insieme la notte prossima.
Il gran Visir, essendosi recato al palazzo all’ora indicata, il Califfo e Mesrour, capo degli eunuchi, si travestirono per non essere conosciuti, ed uscirono tutti e tre insieme.
Passarono per molte piazze e per molti mercati, ed entrando in una stradella, videro al chiaror della luna un buon uomo dalla barba bianca, di alta statura, che portava delle reti sulla testa e un bastone in mano.
Il Califfo disse a’ suoi compagni:
— Avviciniamoci a quel vecchio e domandiamogli lo stato della sua fortuna.
— Buon uomo — gli disse il Visir — chi sei tu?
— Signore — gli rispose il vecchio — sono un pescatore, ma il più povero e il più sventurato della mia professione.
Il Califfo mosso a compassione disse al pescatore:
— Avresti il coraggio di ricalcare l’orme tue e di gittare le tue reti un’altra volta? Noi ti daremo cento zecchini.
Il pescatore a tale proposta, obbliando tutta la fatica della giornata, ritornò verso il Tigri.
Il pescatore vi gettò le reti; poi, avendole tirate su, vi trasse un baule chiuso e pesantissimo. Il Califfo gli fece tosto contare cento zecchini e lo mandò pei fatti suoi.
Mesrour si addossò il baule sulle spalle per ordine del suo padrone, il quale premuroso di saperne il contenuto, ritornò in fretta al Palazzo. Quivi essendo stato aperto il baule vi si trovò il corpo di una giovine signora, bianco come la neve, ma tagliata a pezzi.
Molto fu lo stupore del Califfo a questo orrendo spettacolo. Ma dalla sorpresa passò all’istante allo sdegno, e lanciando al Visir uno sguardo furioso, gli disse:
— Ah! sciagurato, così dunque tu vegli sulle azioni dei miei popoli? Si commettono impunemente sotto il tuo ministerio degli assassinii nella capitale, e si gettano i miei sudditi nel Tigri, affinché gridino vendetta contro di me il giorno del giudizio? Se tu non vendichi prontamente l’uccisione di questa donna colla morte dell’uccisore, io giuro pel santo nome di Dio, che farò appiccar te, e quaranta del tuo parentado!
— Commendatore dei credenti — disse il gran Visir
— supplico Vostra Maestà di accordarmi qualche tempo per fare delle perquisizioni.
— Ti do tre giorni di tempo — rispose il Califfo.
Il visir Giafar si ritirò in casa sua ordinò agli ufficiali di polizia e di giustizia dipendenti da lui di fare un’esatta ricerca del malfattore.
Posero in giro la loro gente; vi si misero essi medesimi non credendosi meno interessati del Visir in tale affare: ma tutte le loro ricerche tornarono vane; per quanta diligenza usassero, non poterono scoprire l’autore dell’assassinio.
Arrivato il terzo giorno il Califfo domandò ove fosse l’omicida.
— Commendatore dei credenti — egli rispose — non ho trovato alcuno che abbia potuto darmene il menomo indizio.
Il Califfo gli fece de’ rimproveri pieni d’ira e di furore, e comandò che lo impiccassero innanzi alla porta del palazzo. Condussero il Visir con quaranta Barmecidi appiè delle rispettive forche e fu loro passata al collo la corda colla quale dovevano esser alzati in aria. Mentre tutto era preparato onde fosse eseguito l’ordine irrevocabile del Califfo, un giovine molto ben fatto e decentemente vestito, facendosi strada a traverso la calca, giunse fino al Visir, e dopo avergli baciata la mano esclamò:
— Sommo Visir, voi non siete colpevole del delitto pel quale state per morire. Ritiratevi e lasciatemi espiare la morte della dama gettata nel Tigri. Son io il suo uccisore e merito d’esser punito!
Il Visir stava per rispondergli, quando un uomo di un’età molto avanzata, avendo potuto accostarsi al Visir:
— Signore, non credete nulla di quanto vi dice questo giovane; io solo sono l’assassino della dama trovata nel baule.
Il contrasto del vecchio e del giovane obbligò il Visir a condurli innanzi al Califfo, colla permissione del luogotenente criminale.
Quando fu in presenza di quel Principe, parlò a questo modo:
— Commendatore de’ credenti, io conduco a Vostra Maestà questo giovane e questo vecchio, ch’entrambi si dicono uccisori della dama.
Allora il Califfo domandò agli accusati chi dei due avesse trucidato la dama e poscia gittata nel Tigri.
Il giovane assicurò essere stato lui; ma siccome il vecchio dal canto suo sosteneva il contrario:
— Andate — disse il Califfo al gran Visir — fateli impiccar tutti e due!
— Ma, Sire — disse il Visir — se uno di essi è colpevole sarebbe ingiusto far morir l’altro!
A queste parole il giovane ripigliò:
— Io giuro pel gran Dio che ha innalzato i cieli all’altezza ove sono, aver io ucciso la dama e po- scia squartata e gittata nel Tigri or fa quattro giorni. Quindi son io quello che dev’essere punito.
Il Califfo fu sorpreso di questo giuramento, e vi prestò fede, tanto più che il vecchio non vi replicò.
Per il che volgendosi al giovane gli disse:
— Sciagurato, per qual motivo hai tu commesso un delitto sì detestabile? E qual ragione puoi tu avere di esserti venuto ad offrire da te stesso a morte?
— Commendatore de’ credenti — rispose colui -se si mettesse in iscritto tutto ciò che è avvenuto fra cotesta dama e me, ci sarebbe da fare un’istoria che potrebbe essere utilissima agli uomini.
— Narratecela — replicò il Califfo — io te lo impongo.