SAINT-ANGE: In qualsiasi stato si trovi una donna, mia cara, quello di figlia, di moglie, o di vedova, non deve mai avere altro scopo, altra occupazione, altro desiderio che farsi fottere dalla mattina alla sera: è per questo unico scopo che la natura l’ha creata. Ma, a questo proposito, se io esigo che questa donna soffochi ogni pregiudizio della sua infanzia, se le prescrivo la disubbidienza più categorica agli ordini della sua famiglia e il disprezzo più fermo di tutti i consigli dei suoi genitori, capirai bene, Eugénie, che tra tutti gli ostacoli da eliminare, quello di cui le consiglierò l’abbattimento in senso assoluto sarà, senza discussione, quello del matrimonio. In effetti, Eugénie, considera una fanciulla appena uscita dalla casa paterna o dal collegio, all’oscuro di tutto, senza alcuna esperienza, obbligata a passare subito tra le braccia di un uomo che non ha mai visto, obbligata a giurare a quest’uomo, ai piedi d’un altare, una obbedienza e una fedeltà tanto più ingiusta in quanto lei nel fondo del proprio cuore spesso non ha che il più gran desiderio di mancargli di parola. Dimmi tu, Eugénie, se esiste un destino più terrificante di questo! Eppure eccola incastrata, che il marito le piaccia o meno, che questi abbia o no per lei tenerezza o comportamento villano; una volta che ha giurato, ne va del suo onore! È infamante infrangere i giuramenti! In conclusione: o è la diffamazione o è la schiavitù, per quanto ne possa morire di dolore! Eh, no Eugénie, mica siamo nate per fare questa fine! Certi leggi assurde le hanno inventate gli uomini, ma noi non dobbiamo subirle. Il divorzio stesso può forse essere una via d’uscita? No, senza dubbio. Chi ci assicura che troveremo più sicuramente in seconde nozze quella felicità inesistente nelle prime? Prendiamoci di nascosto la rivincita per la costrizione di vincoli così assurdi e stiamo pur certe che disordini di tal fatta, a qualsiasi eccesso possano portare, sono ben lontani dal recare un oltraggio alla natura, ma piuttosto un omaggio sincero nei suoi confronti: cedere ai desideri che lei sola ci ha inculcato, significa obbedire alle sue leggi; e invece, resistendole, l’oltraggeremmo. L’adulterio, che gli uomini considerano un crimine e che essi hanno osato punire rovinandoci l’esistenza, l’adulterio, Eugénie mia, non è che l’acquisto di un diritto di natura, al quale le fantasie di certi tiranni non saprebbero mai sottrarci. Ma non è orribile, dicono i nostri sposi, esporci al pericolo di amare i frutti dei vostri stravizi come nostri figli e tenerli in famiglia come tali? È quello che obietta Rousseau; ed è la sola obiezione, ne convengo, con cui si possa contestare l’adulterio. Ma non è più semplice allora darsi alla vita libertina ed evitare di restare incinte? E non è ancor più facile interrompere una gravidanza, nel caso si venga a verificare? Ma siccome ritorneremo su questo argomento, per adesso trattiamo il fondo della questione; vedremo che l’obiezione, per quanto possa sembrare pertinente, risulta in effetti utopistica.
Prima di tutto: mettiamo che io vada a letto con mio marito; be’, in attesa che il suo sperma finisca in fondo al mio utero, io potrei andare a letto contemporaneamente con altri dieci uomini, e nulla potrà provare che il figlio che nascerà non sia suo. Può esser suo come no, e nell’incertezza lui non può e non deve mai (dal momento che ha cooperato all’esistenza di questa creatura) farsi alcuno scrupolo nel riconoscerlo. Dato che può essere suo, è suo e basta, e ogni uomo che si angustierà in sospetti per una cosa del genere evidentemente non sarà tranquillo nemmeno se avrà per moglie una vestale. Con nessuna moglie si può essere sicuri: una che è stata virtuosa per dieci anni, può smettere di esserlo anche un giorno solo. Dunque, se questo è sospettoso, lo sarà in ogni caso; non sarà mai certo che il bambino che abbraccia sia veramente il suo. Ora, dal momento che è sospettoso in ogni caso, non è affatto sconveniente legittimare a volte certi sospetti: non aumenterebbe né diminuirebbe il suo stato di felicità o infelicità; dunque tanto vale succeda veramente. E già lo vedo cadere nell’errore madornale e accarezzare il frutto del libertinaggio di sua moglie: che delitto c’è mai in tutto questo? I nostri beni non sono forse comuni? E allora che male c’è a portare in famiglia un bambino che ha diritto ad avere una parte di questi beni? Avrà qualcosa del mio; non ruberà nulla al mio tenero sposo, ma la parte di cui godrà gli verrà dalla mia dote; dunque, né io né il mio bambino prendiamo qualcosa a mio marito. A che titolo, se avessi avuto questo bambino da lui, avrebbe goduto di parte dei miei beni? Perché partorito da me? Ebbene godrà di quella parte anche lui proprio per una ragione d’intimità. Proprio perché questo bambino è mio, gli devo una parte delle mie ricchezze.
Che potete rimproverarmi, se glielo lascio? «Ma ingannate vostro marito, ed è un inganno atroce». No, si tratta di una restituzione; ecco tutto! Io sono la prima vittima dei legami a cui lui mi ha costretto a sottostare, e adesso mi vendico: semplice, no? «Ma c’è di mezzo l’oltraggio vero e proprio fatto all’onore di vostro marito». Pregiudizio! Il mio libertinaggio non lo riguarda affatto; le mie colpe appartengono a me sola. Questo preteso disonore è roba che andava bene un secolo fa; chiacchiere! Mio marito è danneggiato dai miei stravizi né più né meno come io dai suoi. Potrei portarmi a letto il mondo intero, e non gli farei mai uno sgarbo! Questa pretesa del danno è tutta una favola, non esiste proprio! I casi sono due: o mio marito è un bruto, un geloso, oppure è un gentiluomo. Nella prima ipotesi, la cosa migliore che io possa fare è vendicarmi di come si comporta; nella seconda non gli recherei dispiacere per niente. Infatti se me la godo, lui, da quel brav’uomo che è, ne sarà contento: non esiste gentiluomo che non goda della felicità della donna che adora. «Ma se voi l’amaste, vorreste che lui facesse altrettanto?». Ah, guai a quella moglie a cui salti in testa d’essere gelosa del marito! Si accontenti di quello che le dà, se lo ama, e non cerchi di tenerlo legato! Prima di tutto non ce la farebbe, e poi finirebbe per farsi detestare. Se sono ragionevole dunque, non m’affliggerò mai per gli stravizi di mio marito. Lui faccia lo stesso con me, e in famiglia regnerà la pace.
Ricapitoliamo. Qualunque siano gli effetti dell’adulterio, in casa devono entrare ugualmente i figli che non siano dello sposo; dal momento che sono della moglie, essi hanno diritto a una parte della dote di questa moglie. Lo sposo, se a conoscenza di tutto, deve tenerli con sé come fossero bambini avuti dalla moglie in un precedente matrimonio; se è all’oscuro di tutto non potrà essere infelice, perché non può esserlo d’un male che ignora. Nel caso in cui l’adulterio non porti conseguenze e resti sconosciuto al marito, nessun avvocato potrà provare che si tratti di un crimine; e allora l’adulterio non sarà altro che un’azione perfettamente indifferente per il marito dal momento che l’ignora, e perfettamente indifferente per la moglie dal momento che ne prova piacere. Nel caso in cui il marito scopra l’adulterio, non è più l’adulterio che è un male, perché non lo era fino ad allora e non può aver cambiato improvvisamente natura; esiste soltanto il male nella scoperta che ne ha fatto il marito, ma è un torto che riguarda solo lui, e la moglie non c’entra assolutamente.
Quelli che un tempo hanno punito l’adulterio erano dunque despoti, tiranni, gelosi che, riferendo tutto a se stessi, s’immaginavano ingiustamente che era sufficiente offenderli per essere delle criminali, come se un’ingiuria personale dovesse essere considerata un crimine e come se potesse ingiustamente essere chiamata crimine un’azione che, lungi dall’oltraggiare la natura e la società, rende evidentemente omaggio all’una e all’altra. Comunque esistono casi in cui l’adulterio, facile a provarsi, diventa più imbarazzante per la moglie, senza per questo essere più criminoso; per esempio quando lo sposo o è impotente o è soggetto a gusti contrari alla procreazione. Certo le sue dissolutezze diventano più apparenti dal momento che lei gode e il marito non gode mai; ma forse per questo si deve sentire imbarazzata? Assolutamente no! L’unica precauzione da prendere è quella di non fare figli oppure di abortire se non sono state sufficienti le precauzioni. Se è costretta a rifarsi della negligenza del marito per certi suoi gusti antifisici, veda innanzitutto di assecondarlo senza ripugnanza nei suoi desideri, di qualsiasi natura siano, e poi gli faccia capire che certe compiacenze meritano pure qualche ricompensa; per quello a cui lei si presta, gli chieda la più completa libertà. A questo punto il marito o rifiuta o acconsente; se acconsente, come ha fatto il mio, una può fare il proprio comodo, sia pur raddoppiando le attenzioni e accondiscendendo sempre più ai suoi capricci; se rifiuta, una infittisce ancor più quei veli, nascosta dietro i quali fotte tranquillamente. Se poi lui è impotente, ci si separa, e in ogni caso si dà alla bella vita; in ogni caso si fotte, amore mio, perché siamo nate per fottere e solo fottendo seguiamo le leggi di natura! Per cui ogni legge umana che si oppone a essa deve essere disprezzata.
Ma è proprio una stupida quella donna che si senta legata a obblighi così assurdi come quelli del matrimonio e non segua il suo istinto di natura, temendo di restare incinta o di offendere suo marito o di macchiare la sua reputazione, che è poi la cosa più assurda! Hai visto, Eugénie? Ti sei resa conto di quanto sia stupida una che sacrifica vilmente per i più ridicoli pregiudizi la sua felicità e tutti i piaceri della vita? Ma fotta invece, fotta impunemente! Forse un po’ di vanagloria o qualche frivola speranza di ordine religioso potranno ricompensarla dei suoi sacrifici? No, no! quando una poi muore, virtù e vizio sono una cosa sola! Forse la gente, passato qualche anno, ne esalterà quella più di quanto non ne condannerà l’altro? Ma no, dico ancora; no, no! e una poveretta, vissuta senza aver goduto, muore ahimè! senza alcuna ricompensa.