Charles mi allontanò da quella distrazione estatica con un lamento quasi soffocato tra una folla di baci, mentre insisteva premendo per entrare, poiché la posizione in cui mi trovavo non era favorevole ai suoi desideri. Quell’insistenza era per me un tale piacere che non soffrii affatto a rinunciare all’altro. Quanto fu dolce correggere quell’errore! Le mie cosce, ora obbedienti ai richiami della natura e dell’amore, si aprirono felici e si arresero liberando l’entrata del piacere. Vedo, sento la deliziosa punta vellutata! Entra possente e vigorosa, e… oh! La penna mi cade per l’estasi che provo al solo ricordo! La capacità di descrivere mi abbandona, disattende un compito, oltre la sua capacità di volare, lasciando spazio all’immaginazione: ma è un’immaginazione esaltata da un fuoco che rende giustizia alla più sensibile e nobile delle sensazioni, che saluta e accompagna quel rigido insinuarsi dentro di me, fino alla fine della penetrazione, mostrando nei miei occhi le scintille di quell’amore focoso che mi scorreva nelle vene e in tutti i pori: ormai ero fatta solo di piacere.
Avevo dentro di me la freccia del vero amore, dalla punta alla piuma, in quella parte in cui, senza creare nuove ferite, le labbra o il fulcro della natura, che dovevano il primo respiro proprio a questo tenero strumento, si richiudevano, come se per un senso di gratitudine lo risucchiassero, mentre il loro interno lo abbracciava con calore ed energia per dargli il benvenuto: ogni fibra gli si stringeva intorno e si tendeva ambiziosamente a condividere quel contatto beato.
Concedemmo alcuni istanti di pausa al diletto dei sensi per gustare al massimo quel nostro incontro così intimo e per meditare sul godimento, ma presto l’impazienza naturale per il piacere ci rimise in azione. Al suo primo tumulto seguirono i miei sussulti. Mentre il nostro piacere cresceva così forte da non riuscire a parlare, gli organi della voce, mescolati voluttuosamente, divennero gli organi del tatto. Che delizia! Quanta lussuria! E ora! Ora sentivo dentro il mio cuore la soglia prodigiosa oltre la quale l’amore che presiede questo atto si tramuta in piacere. L’amore! Il sale attico del godimento, senza il quale la gioia, seppur immensa, rimane volgare, fosse quella di un re o di un mendicante: solo l’amore sa perfezionarla, nobilitarla ed esaltarla.
Così, felice nel cuore e appagata nei sensi, mi fu impossibile, persino con il pensiero, concepire una delizia più grande di quella di cui godevo in quel momento.
Charles, il cui corpo era sconvolto nell’agitazione dell’estasi, con gli occhi che gli brillavano del fuoco più tenero, in una perfetta armonia, mi penetrava in profondità, toccandomi nei punti vitali, e mi portava fuori di me, mentre lui sembrava così dentro di me che in un delizioso entusiasmo immaginai una trasfusione di cuore e spirito che si fondevano, creando un unico corpo e un’unica anima, come se io fossi lui e lui fosse me.
Tutto questo piacere tendeva, come la vita nei suoi primissimi istanti, alla sua dissoluzione ed era così intenso da trattenere in sé il delizioso istante della sua mortalità; l’approssimarsi della sua tenera agonia si mostrò con i suoi segnali consueti, che furono presto seguiti dall’emanazione del mio dolce amante che si riversò e colpì con passione le mie viscere inebriate. La dolce e balsamica stimolazione diede sfogo a tutti i succhi della gioia del mio corpo, che fluendo estatici placarono il prurito infocato e affogarono il nostro piacere, per poi tornare nuovamente a galla! Charles, fedele alle leggi della natura, dopo aver eiaculato, giacque rapito dall’estasi per breve tempo, prima di ritrovare il suo spirito e farmi sentire le molle scattanti del suo strumento di piacere che erano per amore, o forse per la lunga astinenza, troppo tese per abbandonarsi a un’unica esplosione: la sua rigidità mi fu presto di nuovo amica. Riprendemmo quell’atto senza che fosse uscito da me o mi avesse allontanata dal mio dolce inquilino e suonammo ancora la stessa melodia con la medesima armonia sinfonica. I nostri ardori, come il nostro amore, non conoscevano remissione: sotto l’effetto della marea del crescente piacere, mi inondò di nuovo di quella geniale emulsione dei suoi serbatoi ovali. Da parte mia, con una presa convulsa, nell’istante in cui liberavo il mio liquido contributo, mi piegai a quell’aumento di piacere e alle sue effusioni, muovendomi per succhiare avidamente con ogni sorgente della suzione con cui il sensibile meccanismo di quella parte si abbevera e prosciuga il capezzolo dell’Amore, con un’impazienza e un desiderio istintivo tale e quale a quello con cui i neonati si attaccano al seno della madre, per quel piacere che riscoprono nel muovere la bocca e le guance per estrarre il latte per il loro nutrimento.
Ancora non c’era fine al suo vigore: questa doppia scarica non aveva spento in alcun modo i suoi desideri e non li aveva neanche placati. Alla sua età, volere è potere. Si accingeva a ottenere un terzo trionfo, senza mai staccarsi, se la tenerezza che provavo per quel vero amore non mi avesse portata a ritrarmi per risparmiarlo e non sfinirlo: così, pregandolo di darsi e darmi un po’ di spazio, ottenni una tregua, non prima che mi avesse dimostrato soddisfatto che era uscito ancora eretto.
Per il resto della notte, e ciò che prendemmo in prestito dal giorno, celebrammo con instancabile fervore il nostro incontro; ci svegliammo molto presto il mattino dopo, felici e pimpanti, sebbene non avessimo riposato molto. I piaceri dell’amore erano stati per noi la gioia della vittoria per un esercito: erano riposo, ristoro, tutto.
Il viaggio in campagna era ormai fuori questione e la sera prima era stato ordinato ai cavalli di dirigersi a Londra. Lasciammo la locanda poco dopo colazione, non senza aver distribuito generosamente i segni della mia gratitudine per quella felicità che avevo appena incontrato.
Charles e io eravamo nella mia carrozza; il capitano e la mia accompagnatrice viaggiavano su un carro che era stato noleggiato apposta per loro, per permetterci di godere di ulteriore intimità.
Sulla strada, poiché il tumulto dei sensi si era placato, fui abbastanza padrona di me stessa per parlargli di come avevo condotto la mia vita in seguito alla nostra separazione: benché la deplorasse, non ne fu molto sorpreso e, viste le circostanze in cui mi aveva lasciata, non ne era del tutto impreparato.
Quando gli rivelai della mia ricchezza con una sincerità che con lui mi veniva naturale, lo pregai di accettarla alle sue condizioni. Forse le sarò sembrata troppo coinvolta da quella passione o riterrà che abbia urtato la sua sensibilità, ma le posso assicurare che dopo aver rifiutato senza riserve né condizioni quella donazione che lo implorai a lungo di accettare, obbedendo ai suoi ordini severi (ai quali mi opposi arduamente, finché non esercitò su di me la sovrana autorità che l’amore gli aveva donato) diedi il mio consenso a mettere fine ai rimproveri, poiché mi portò a pensare che, per quanto ingiustamente, non voleva essere accusato per amore del denaro di aver barattato il suo onore per l’infamia, prostituendosi e prendendo in moglie una donna che si riteneva già fin troppo onorata di essere la sua amante.
La forza dell’amore sconfisse qualunque obiezione ed egli, che non poteva non leggere la lealtà del mio cuore, mi obbligò ad accettare la sua mano, con cui, tra altre innumerevoli fortune, avrei potuto dare un padre legale a quei figli nati da un’unione così felice.