Alcuni giorni dopo la sua partenza, due giovani, molto apprezzati dalla signora Cole e che da tempo frequentavano la casa, ottennero con disinvoltura il suo permesso affinché Emily e io accettassimo di partecipare a una festa di piacere nella piccola ma graziosa dimora di uno dei due, situata sulle rive del Tamigi, dalla parte del Surrey.
Presi gli accordi necessari, partimmo in un caldo giorno d’estate per raggiungere il luogo del nostro incontro intorno alle quattro del pomeriggio. I due scudieri ci accompagnarono in un padiglione ben curato e lì prendemmo il tè in allegria e spensieratezza, grazie anche alla bellezza del paesaggio, a un clima meraviglioso e alla gentilezza dei nostri vivaci cavalieri.
Dopo il tè e una passeggiata in giardino, il mio prescelto, il quale era anche il padrone della casa, decise che l’incontro di piacere non doveva restare asciutto, pertanto ci propose, con la franchezza dovuta alla confidenza che aveva con la signora Cole e visto il caldo eccessivo, di bagnarci insieme in un ruscello, sotto un riparo che aveva fatto preparare per l’occasione, che comunicava tramite una porta laterale con il padiglione, di modo che potessimo divertirci senza interruzioni e nella massima riservatezza.
Emily, che non si tirava mai indietro, e io, che adoravo fare i bagni, non ci opponemmo a ciò che ci fu chiesto, o a quei piaceri che ne sarebbero sopraggiunti, com’era facile immaginare, e per non disattendere gli insegnamenti della signora Cole accettammo con tutta la grazia di cui fummo capaci. Senza perdere tempo, tornammo subito al padiglione, dove, varcata una porta, trovammo una tenda tesa in avanti che ci avrebbe riparati dal sole o dalle intemperie e che ci avrebbe offerto tutta la riservatezza che avremmo potuto desiderare. Le cortine erano decorate da cima a fondo con fronde di una foresta selvaggia e pilastri con vasi di fiori che creavano un effetto molto gradevole alla vista.
Nella tenda, che raggiungeva l’acqua, vi erano, sul terreno asciutto, delle comode panchine sia per riporre i nostri vestiti, sia per… insomma, non servivano solo a farci accomodare! Vi era anche un tavolino, colmo di dolci, marmellate e altre bontà, bottiglie di vino e di cordiale per darci sollievo in caso di malore causato dalla freddezza dell’acqua o da qualsiasi altro motivo. Difatti, il mio gentiluomo, per i suoi gusti (anche se lei non approvasse la descrizione che ne ho fatto) avrebbe potuto essere arbitro del piacere di un imperatore romano e non si lasciò sfuggire nulla per il nostro agio e godimento.
Ci guardammo intorno in quel cantuccio accogliente, e nell’intima atmosfera non ci restava che denudarci. I due giovani cavalieri presero a spogliare la propria dama e ci ridussero alla nuda confessione di quei segreti che di norma si celano sotto i vestiti e la cui scoperta fu, per natura, del tutto a nostro vantaggio. Portammo le mani su quelle nostre parti più interessanti, coprendo per prima la collinetta cespugliosa più in basso, finché, colti dal desiderio, non ci chiesero di levarle e d’impiegarle per rendere loro quello stesso servizio aiutandoli a togliere i vestiti. Può ben immaginare gli scherzi e le licenziosità che ne scaturirono.
Il mio compagno, quasi svestito, indossava ormai solo la camicia e, poggiandosi languidamente, ne puntava un lembo su di me per farmi osservare come si gonfiasse, salisse o scendesse a seguito dei movimenti incontrollati sotto di esso. Presto si sfilò la camicia e, nudo come Cupido, mi mostrò cosa vi era sotto, così ritto che pensai fosse pronto ad applicarlo per un immediato sollievo. Benché ammirare quell’oggetto di tali dimensioni mi avesse già eccitata, l’aria fresca, nuda com’ero, aumentò il mio desiderio di bagnarmi nel ruscello, e così fui in grado di allontanarlo e di placare le sue voglie: quella breve attesa avrebbe di certo elevato la soglia del nostro piacere. Decisi di dare ai quei nostri amici un esempio di moderazione che pareva avessero perso ed entrammo in acqua mano nella mano, finché essa non raggiunse il collo: il mio corpo provò nella freschezza dell’acqua un delizioso senso di sollievo dall’afa della stagione, rendendomi più vivace e felice, ma anche più sensibile a quelle sensazioni voluttuose.
Mi bagnai, giocai e mi divertii nell’acqua con il mio compagno, lasciando Emily da sola con il suo. Il mio cavaliere, non contento di farmi andar sotto con la testa, continuò a schizzarmi e a provocarmi con tutti gli scherzetti che riusciva a escogitare e io cercai di fare altrettanto. Ci demmo alla pazza gioia; non vi era nulla che avrebbe maggiormente gradito di toccare con le sue mani al di là del mio corpo, del collo, dei seni, del ventre, delle cosce e di tutti gli et cetera tanto cari all’immaginazione, con il pretesto di lavarmi e strofinarmi. Eravamo entrambi nell’acqua, che non ci arrivava oltre lo stomaco e ciò non gli impedì di toccare e giocare con quella fenditura che distingue i nostri sessi, così meravigliosamente stagna. Le sue dita la dilatarono e aprirono invano, lasciando entrare più fiamme che acqua, metaforicamente parlando. Allo stesso tempo, mi fece sentire il suo motore così carico da ergersi sull’acqua, e mi passò un braccio attorno al corpo, cercando di sfruttare al meglio quella rigida costruzione formatasi nel fluido circostante: trovò difatti la sua strada tanto da farmi sentire quella piacevole dilatazione delle labbra inferiori mentre inseriva il suo arnese. Indipendentemente dal fatto che non amassi quello strano tipo di godimento, non potei fare a meno di interromperlo per diventare spettatori di quanto accadeva tra Emily e il suo cavaliere, il quale stanco di quei giochi e degli intrallazzi in acqua, aveva condotto la sua ninfa su una delle panche nel padiglione, su cui le stava affabilmente insegnando la differenza tra il serio e il faceto.
La fece accomodare sulle sue ginocchia e fece scivolare una mano sulla sua pelle liscia e bianca come la neve, che ora brillava della lucentezza della rugiada e che si presentava al tatto come fosse avorio animato, soprattutto in quei globi dai capezzoli dal color del rubino così piacevoli da toccare. Con l’altra mano stava esplorando il dolce segreto della natura per far spazio a un imponente arnese che si ergeva ritto tra le cosce e che premeva per intromettersi in quella fanciulla, seduta ancora sulle sue gambe. La tenera Emily, volendo protrarre il piacere, fingeva di declinare e di sfuggire al vero godimento e lo faceva in modo così grazioso da render quel comportamento dieci volte più attraente: i suoi occhi, tra la tenerezza e il languore, esprimevano il suo buffo rifiuto e un estremo desiderio, mentre la sua dolcezza era rafforzata da una timidezza provocante. I modi che usava per allontanarlo erano così seducenti da raddoppiare l’impeto rabbioso con cui lui la copriva di baci: baci che, sebbene sembrasse troppo timida per contraccambiarli, restituiva con un’abile lascivia al punto da sembrare ancora più dolci, quasi fossero rubati.
Emily, che non conosceva altri artifici se non quelli ispirati dalla natura per raggiungere il suo piacere, si mostrava pudica, ma con uno scopo: si sforzava, combatteva e si dimenava per liberarsi da quelle braccia, ma era chiaro che la lotta mirava a moltiplicare le occasioni per toccare il suo cavaliere e tirarlo a sé, per avvilupparsi come due tralicci di vite arricciati tra loro. Era lo stesso effetto provocato dalla lotta della povera Louisa per liberarsi dalla presa di quel povero sciocco, seppur con motivi diversi.
Emersi dall’acqua fredda, i loro corpi erano ora luminosi, l’incarnato di colore più intenso. Erano entrambi pallidi e dalla pelle così levigata che le loro membra parvero amorosamente intrecciate in una dolce confusione, ed era impossibile distinguere a chi appartenessero se non per la muscolatura robusta del sesso forte.
In poco tempo, il campione entrò in lei e la legò con il nodo del vero amore: addio riluttanza raffinata, addio lotte amichevoli! Ella non fu più capace di utilizzare alcun artificio, cos’altro poteva fare quando la natura, insieme al suo assalitore, aveva invaso il cuore della sua capitale se non, travolta dalla tempesta, arrendersi alla mercé del suo fiero conquistatore che aveva fatto un ingresso completo e trionfante? Presto però diventò un vassallo: perché quando l’impegno si fece più ardente, ella lo portò a ripagare il caro debito alla natura che non aveva ancora riscosso. Come un duellante che tiene ai suoi piedi l’antagonista avendo ricevuto la stessa ferita mortale, Emily ebbe poco tempo per vantarsi della propria vittoria poiché, colpita dalla stessa scarica, con un sospiro, gli occhi chiusi e le membra rigide, mostrò che tutto era andato come avrebbe dovuto.
Io, che ero stata nell’acqua per tutto quel tempo a osservare la lotta ardente, non con poca impazienza, mi chinai con tenerezza sul mio cavaliere e gli chiesi con gli occhi cosa ne pensasse, ma lui, più ansioso di soddisfarmi con le azioni che con le parole o il solo sguardo, mi condusse verso la riva e mi mostrò il suo strumento dell’amore talmente pronto che mi spinse a cercare un reciproco sollievo, poiché sarebbe stato crudele averlo fatto soffrire in una simile tensione quando il rimedio era così ovvio e a portata di mano.