Avevamo molto in comune, l’età, la professione, le idee, e ben presto sentii che tra noi si instaurò una confidenza e un’intimità senza riserve, come se fossimo state insieme da sempre. Mi portarono a visitare la casa e i loro appartamenti, che erano arredati con molto buon gusto non disgiunto da certe pretese di eleganza. Mi fecero vedere anche un salotto molto spazioso dove di solito si intrattenevano con un gruppo di clienti selezionati, abbandonandosi a vere e proprie feste di piacere: qui le ragazze cenavano con i loro amanti, assecondando ogni loro desiderio con la più sfrenata licenziosità. Dato che nella comunità non c’era ombra di gelosia o di rivalità, il principio che vigeva era che non potendoci essere soddisfazione sentimentale, questa mancanza andava compensata con il massimo godimento fisico e un gran numero di amanti. Gli autori e i sostenitori di quella istituzione segreta, nella loro eccentricità, si definivano i restauratori dell’età d’oro e della semplicità dei suoi piaceri, prima che la loro innocenza fosse ingiustamente marchiata con i nomi di colpa e vergogna.
Non appena veniva sera, il negozio scompariva per lasciare posto all’accademia. La maschera di finto pudore spariva e le ragazze si abbandonavano al piacere o all’interesse con i loro uomini. Come ho già detto, però, non bastava essere di sesso maschile per essere ammessi a frequentare la casa, perché la signora Cole doveva prima approvare il carattere e la discrezione degli ospiti. In breve, era la casa di appuntamenti più sicura e raffinata della città, e allo stesso tempo la più completa: tutto era gestito in modo che la decenza non andasse a compromettere la soddisfazione dei piaceri più libertini, nella cui pratica le abitanti della casa avevano appreso il raro e difficile segreto per conciliare grazia e raffinatezza con le più spinte gratificazioni dei sensi.
Dopo aver passato la mattinata a ricevere i consigli e le istruzioni delle mie nuove amiche, andammo a pranzo insieme. Fu in quell’occasione che la signora Cole, prendendo il comando della compagnia, mi diede dimostrazione per la prima volta di come gestiva e trattava quelle ragazze, suscitando in loro sincero affetto e rispetto nei suoi confronti. Non c’erano tensioni né gelosie, solo una spontanea gioia e confidenza.
Dopo pranzo la signora Cole mi disse che quella sera stessa ci sarebbe stata una piccola festa in mio onore. In quell’occasione, con tutte le dovute riserve sulla mia verginità, sarei stata presentata al cliente più adatto. Stavo per ricevere una cerimonia d’iniziazione che non mi sarebbe dispiaciuta.
Ormai ero salita a bordo, e incantata dal fascino delle mie nuove compagne ero troppo ben disposta verso qualsiasi proposta per esitare. Così, diedi loro carta bianca, ed esse mi riempirono di baci e complimenti in approvazione del mio buon carattere. Mi dissero che ero una ragazza dolce… che affrontavo le cose con grazia… che la mia modestia non era affettata… che sarei stata l’orgoglio della casa… e cose simili.
Definita quella questione, le giovani donne mi lasciarono sola con la signora Cole, per discutere dei dettagli. Allora mi spiegò che quella sera sarei stata presentata a quattro dei suoi migliori clienti, uno dei quali, secondo le usanze della casa, sarebbe stato scelto per iniziarmi alla prima festa del piacere, assicurandomi che comunque erano tutti giovani gentiluomini di bell’aspetto ed eccezionali sotto ogni punto di vista. Accomunati dalla ricerca del piacere, mi spiegò che i quattro erano i suoi clienti più preziosi e che erano soliti fare regali alle ragazze che li intrattenevano e soddisfacevano i loro capricci, pertanto erano considerati i fondatori e patroni del piccolo serraglio. Non che la signora Cole non avesse altri clienti con cui trattare, ma questi ricevevano più considerazione degli altri. Infatti non era con i suoi favoriti che mi avrebbe spacciata per una vergine: non solo erano troppo esperti e maliziosi per abboccare, ma soprattutto erano benefattori troppo generosi per pensare di imbrogliarli in quel modo.
Per come l’immaginavo, la proposta mi allettava per il piacere e l’emozione che prometteva, ma avevo in me abbastanza femminilità da simulare un lieve imbarazzo nell’assecondare il volere della mia padrona, e ricordai alla signora che forse sarebbe stato meglio se mi fossi cambiata d’abito per rendere più positiva la prima impressione.
Ma la signora Cole mi assicurò, invece, che quei gentiluomini a cui sarei stata presentata, per loro rango e gusto, erano infinitamente superiori per rimanere impressionati da un abito elegante o da ornamenti con cui le donne frivole confondono e coprono la loro bellezza anziché esaltarla, e che quei veterani voluttuosi sapevano dare il giusto peso a tali atteggiamenti: loro apprezzavano solo il fascino semplice e naturale, e avrebbero lasciato volentieri una duchessa scialba e agghindata per una bella ragazza di campagna prosperosa e rubiconda. Per quanto mi riguardava, la natura era stata così generosa con me da non rendermi necessario nessun artificio, e in quella particolare occasione non c’era abito migliore dell’essere nuda.
Pensai che la mia padrona era un giudice troppo buono per poterla contraddire. Dopodiché proseguì predicando, in maniera quasi patetica, la dottrina dell’obbedienza passiva e della sottomissione più totale ai capricci dei signori, che potevano essere dei più raffinati oppure depravati, e che l’unica cosa che poteva fare una donna di piacere era adattarsi senza opporre alcuna resistenza. Mentre ascoltavo questa lezione di moralità, era stato servito il tè e le ragazze, che prima ci avevano lasciate sole, ritornarono.
Dopo una gran quantità di chiacchiere in allegria, poiché mancava ancora un bel po’ all’ora dell’incontro, una di loro propose che ognuna di noi raccontasse la propria esperienza del passaggio da fanciulla a donna. La proposta fu approvata, restammo escluse solo la signora Cole, per via dell’anzianità, e io, per la mia presunta verginità, almeno fino a quando non mi fossi adeguata alle regole della casa. Iniziò per prima la promotrice della proposta.