Avevo appena vissuto una rara avventura che mi aveva donato molte più soddisfazioni di quanto mi aspettassi, data la sua natura; fu esaltata, come potrà immaginare, dalle generose lodi alla mia costanza e compiacenza che, senza scordare la gratifica per la signora Cole, sfociarono in un dono che superava di gran lunga le mie più rosee aspettative.
Ciò nonostante, non volli più rivederlo né far di nuovo ricorso alla violenza di quelle sferzate, che provocavano su di me effetti simili a quelli di una dose di mosche spagnole, forse con più dolore e meno pericolo, che era necessario per lui, ma non per me: la mia brama non aveva certo bisogno dello sperone per essere stimolata o delle briglie per essere domata.
Dopo questo exploit avventuroso, fui sempre più apprezzata dalla signora Cole, che ora mi riteneva una ragazza devota, senza alcun timore e pertanto forte abbastanza da poter lottare con tutte le armi del piacere. Per tali ragioni, fu in seguito molto attenta a favorire il mio profitto e il mio piacere, con maggior riguardo per il primo, e scelse con cura il nuovo cavaliere che decise di presentarmi.
Era un gentiluomo anziano, serio e compassato, con un gusto particolare, quello, ovvero, di intrecciare i capelli. Mi adattavo alla perfezione a quel suo interesse, così lo ricevevo sempre al momento della toeletta, quando scioglievo i capelli e li abbandonavo al suo piacere. Vi giocava per più di un’ora, spazzolandoli, avvolgendo le ciocche tra le dita e a volte persino li baciava mentre li lisciava. In tutto questo, mai fece uso della mia persona o si prese libertà alcuna, come se non vi fosse più alcuna distinzione tra i sessi.
Aveva, inoltre, un altro gusto peculiare. Veniva da me con una dozzina di guanti di capretto, i più bianchi che avessi mai visto: si divertiva a farmeli indossare e poi a sfilarli mordendo la punta delle dita. Quel vecchio galantuomo pagava per i suoi sciocchi desideri molto più di quanto non facessero altri per favori più carnali. Il suo divertimento durò fino a quando rimase bloccato a letto da una tosse violenta e improvvisa che mi liberò dal più innocente e insipido degli amanti, di cui non seppi più nulla.
Può star certa che un lavoro di tal sorta non interferiva con altri impegni o con il mio stile di vita; in realtà, conducevo un’esistenza modesta e riservata, non per merito della virtù quanto dell’aver esaudito ogni voglia e della facilità con cui potevo soddisfare i miei diletti, tanto da non provar alcun interesse per tutto ciò che non riunisse piacere e profitto. In tal modo, potevo rimettermi nelle mani del tempo e della fortuna. Sapevo bene che non sarei mai andata in rovina, poiché avevo operato ai vertici del mercato ed ero stata addirittura viziata con ogni raffinatezza. Altresì, con il sacrificio di pochi impulsi momentanei, provai la segreta soddisfazione di rispettarmi e di preservare la vitalità e la freschezza del mio corpo. Louisa e Emily non fecero altrettanto: sebbene fossero ancora molto richieste, le loro avventure sembravano contraddire questa idea generale. Mi preme parlargliene, poiché le ritengo molto singolari: le racconterò ora quanto accadde alla povera Emily.
Si recò a un ballo in maschera insieme a Louisa: l’ultima era vestita da pastorella, Emily da pastore. Le assistetti mentre si preparavano per la festa e le posso assicurare che non vi era in natura un ragazzino più bello di Emily, così bionda e aggraziata. Restarono insieme per qualche tempo, poi Louisa incontrò una sua vecchia conoscenza e si allontanò dalla compagna, lasciandola sotto la protezione del suo travestimento, che di certo non fu sufficiente, e della sua discrezione, che, pare, lo era anche meno. Emily, rimasta sola, si mise a passeggiare spensierata, e per prendere un po’ d’aria fresca si sfilò la maschera e si diresse al buffet, dove fu presto adocchiata da un galantuomo in un bellissimo domino che le si avvicinò per chiacchierare. Il domino, dopo un breve discorso che permise a Emily di mostrare il suo buon carattere e la sua semplicità più che la sua arguzia, fu colto da una passione violenta per lei. La trascinò verso alcune panchine in un’area più buia della sala, la fece accomodare accanto a lui e le prese le mani, le pizzicò le guance, ammirò e giocò con i suoi capelli biondi, lodò il colorito della sua pelle. Quel corteggiamento era condotto in un modo alquanto bizzarro che confuse la povera Emily e la portò a credere che fosse dovuto al suo travestimento. Non essendo dunque la più spietata nella sua professione, iniziò a discutere sull’essenziale. Ma qui venne il bello: quell’uomo l’aveva scambiata per ciò che appariva, un ragazzino effeminato! Emily, non rammentandosi del proprio costume e ben lontana da quel pensiero, si convinse che quelle parole le venivano rivolte perché era una donna, mentre in realtà le riceveva proprio perché il domino non pensava lo fosse. Quel doppio errore fu spinto così tanto al limite da entrambi che Emily, la quale non vedeva che un gentiluomo distinto come il suo vestito faceva presagire, inebriata dal vino e dalle carezze di cui l’aveva colmata, lo seguì in un bagno. Dimentica degli avvertimenti della signora Cole, si fidò ciecamente dell’uomo e si fece condurre dovunque lui volesse. Egli, da parte sua, accecato dal desiderio e ingannato dalla sua semplicità più che da un’arte raffinata, ritenne senza dubbio di aver conquistato un sempliciotto adatto ai suoi scopi o forse un servo mercenario che aveva compreso la situazione ed era disposto a soddisfarlo. L’accompagnò a una carrozza, ve la fece salire e la condusse in un meraviglioso appartamento in cui vi era un letto: Emily non avrebbe saputo dire se si trattasse o meno di un bagno, poiché non aveva mai parlato con nessun altro all’infuori del suo cavaliere. Rimasti soli, il suo innamorato cominciò a prendersi con lei quelle libertà che lo condussero inevitabilmente a scoprirne il sesso: non era possibile, sostenne poi la fanciulla, dipingere quel momento, il dubbio, la confusione e il disappunto sul volto di quell’uomo, che esclamò con tristezza: «Per Dio, una donna!». Fu così che Emily aprì gli occhi che fino ad allora aveva tenuto scioccamente chiusi. Tuttavia, quasi a voler porre fine a quell’imbarazzo, il domino continuò a giocare con lei e ad accarezzarla, ma il caloroso trasporto si tramutò in freddi convenevoli di cui persino Emily si accorse, tanto che desiderò aver prestato più attenzione agli avvertimenti della signora Cole sulle relazioni con gli sconosciuti. All’eccessiva timidezza subentrò poi un’eccessiva sicurezza: rimase passiva per tutto il preludio, alla mercé e alla discrezione di quel giovane. Non fu chiaro se le perdonò di essere donna per la sua prorompente bellezza o se il suo aspetto e quel costume alimentassero ancora i suoi desideri, ma quel cavaliere ritrovò per gradi il suo ardore e sfilò fino alle ginocchia i calzoni ancora sbottonati di Emily, invitandola gentilmente a piegarsi in avanti, rivolta verso la spalliera del letto. In quella posizione, la seconda entrata tra le doppie sporgenze sul retro era per lui la scelta più consona alla sua natura, ma la fanciulla non aveva alcuna intenzione di perdere quella verginità contro il proprio volere. I suoi lamenti e la sua resistenza, pacata ma irremovibile, ebbero la meglio, e l’uomo tornò in sé e ricondusse il destriero sulla strada giusta, sfruttando al massimo l’immaginazione per stuzzicare la sua fantasia, e giunse con molto clamore alla fine del suo viaggio. L’accompagnò poi fuori e passeggiò con lei per qualche isolato, la fece salire su una carrozza offrendole un dono affatto inferiore a quanto avrebbe potuto aspettarsi, e se ne andò affidandola al cocchiere che la condusse a casa seguendo le sue indicazioni.