Se soltanto pochi secondi prima qualcuno mi avesse detto che sarei stata di un uomo diverso da Charles gli avrei sputato in faccia, o se mi avessero offerto una somma infinitamente più grande di quella che era stata pagata per me, avrei rifiutato la proposta senza esitare. Molto spesso però i vizi e le virtù dipendono dalle circostanze. In quello stato, con la mente sopraffatta dalla lunga e severa afflizione, impaurita dalla minaccia della prigione, il mio cedimento mi parve più giustificabile, poiché non ero in me stessa e non avevo partecipato al piacere. Comunque, dato che è il primo passo che conta, e quello ormai era stato compiuto, pensai che non c’era più ragione di rifiutare le carezze di un uomo che mi aveva conquistata, non importa in che modo. Mi consideravo un oggetto di sua proprietà, pertanto non avrei lottato per sottrarmi ai suoi baci e alle sue carezze: non che mi procurasse piacere, o che prevalesse sull’avversione della mia anima, eppure lo sopportavo, lo sopportavo per un certo senso di gratitudine per avermi sottratta a una simile situazione.
Tuttavia, resosi conto del mio stato d’animo, non tentò di rinnovare quegli eccessi che mi avevano gettata in una violenta disperazione. Ormai certo di possedermi, si accontentò di conquistarmi poco a poco, aspettando che il tempo gli permettesse di raccogliere i frutti della generosità e della galanteria, che si pentiva di aver strappato ancora acerbi, rammaricandosi infatti di avere approfittato della mia incapacità di resistergli e di avere appagato i suoi desideri su un corpo immobile, quasi senza vita, insensibile a qualsiasi gioia e pertanto incapace di darne. Una cosa è certa: il mio cuore non lo perdonò mai del tutto per avermi posseduta in quel modo, benché gli fossi grata di avermi aiutata e di aver trovato qualcosa nella mia persona che gli impedì di abbandonarmi con la stessa facilità con cui mi aveva posseduta.
Nel frattempo si era fatta sera. La cameriera entrò a preparare la tavola e così appresi con gioia che la padrona di casa, la cui sola vista era veleno per me, non avrebbe cenato con noi.
Fu servita una cena raffinata, c’era anche il vino, una bottiglia di Borgogna, tutto disposto sopra un carrello portavivande.
Quando la cameriera uscì, il gentiluomo insistette con dolce premura affinché mi sedessi accanto al camino e gli facessi compagnia mentre mangiava, visto che a me proprio non andava. Obbedii, ma in fondo al cuore ero affranta, perché confrontavo le dolci serate con il mio amato Charles a questa situazione forzata e imbarazzante, che ero costretta a vivere solo per crudele necessità.
A cena, dopo aver cercato di confortarmi e riconciliarmi con il mio destino adducendo mille argomentazioni, mi disse che si chiamava H…, che era fratello del conte di L… e che, su suggerimento della signora Jones, aveva avuto occasione di vedermi e gli ero piaciuta subito, così l’aveva incaricata di aiutarlo a farmi sua, a qualsiasi prezzo. Ora era molto soddisfatto e sperava che anch’io finissi per condividere la passione che provava per me, assicurandomi che non mi sarei pentita di averlo conosciuto.
Durante la cena non ero riuscita a buttare giù altro che mezza pernice e due o tre bicchieri di vino, che mi aveva quasi costretta ad accettare dicendo che mi avrebbero aiutata a rimettermi in forze. Non so dunque se vi fosse qualcosa nel vino, o se bastasse davvero così poco a riaccendere la mia passione naturale e a dar fuoco alla miccia, fatto sta che all’improvviso smisi di provare fastidio, per non dire disgusto, nei suoi confronti, e cominciai a considerarlo con maggiore tenerezza, benché non ci fosse traccia di amore in quel che sentivo per lui: in circostanze simili, mi era del tutto indifferente che ci fosse il signor H… o qualunque altro uomo.
A questo mondo non c’è dolore che duri in eterno. E in me la sofferenza non era finita, ma almeno era sospesa. Il mio cuore, a lungo sopraffatto da ansia e disperazione, iniziò ad aprirsi a uno spiraglio di svago e distrazione. Versai qualche lacrima, che riuscì a regalarmi un po’ di sollievo. Sospiravo, e perfino i sospiri sembravano alleggerirmi dal peso che mi opprimeva. Di conseguenza, cambiai atteggiamento e la mia espressione si fece, se non allegra, più serena e libera.
Il signor H… aveva colto tale cambiamento, di cui forse lui stesso era l’artefice, e aveva troppa esperienza per non approfittarne. Allontanò quindi il tavolo che ci separava e si sedette di fronte a me. Poi, parlandomi con tenerezza per non spaventarmi, mi prese le mani e cominciò a baciarmi con passione e ad accarezzarmi il seno, che l’abito in disordine non proteggeva e che palpitava non tanto di indignazione quanto piuttosto per una sorta di timidezza davanti alle premure di quell’uomo che era ancora un estraneo. Ma non era tutto: non contento di quello che gli avevo già permesso, fece scivolare la mano fino alle giarrettiere, poi ancora più su cercando di raggiungere quel luogo che poco prima aveva trovato incustodito. Questa volta però trovò le mie cosce ben chiuse, e a quel punto lo pregai di lasciarmi sola, adducendo come giustificazione un improvviso malessere. Tuttavia il signor H… capì che la mia protesta era più che altro una questione di forma, e quindi m’impose delle condizioni per desistere: mi sarei dovuta mettere subito a letto, mentre lui sarebbe andato a dare certe istruzioni alla padrona di casa;sarebbe tornato dopo un’ora, nella speranza di trovarmi meglio disposta a corrispondere ai suoi desideri. Non osai replicare né assentire, ma il mio atteggiamento di fronte a quella proposta gli fece capire che non mi ritenevo abbastanza padrona di me stessa per protestare.
Così se ne andò, e dopo pochi minuti, prima ancora che potessi ricompormi, entrò una cameriera che mi porse una tazzina d’argento con dentro una specie di pozione nuziale che dovevo bere prima di mettermi a letto. Subito avvertii un calore scorrermi nelle vene come un fuoco; lo sentivo ardere dentro di me, bruciavo, e avevo perfino il desiderio di un uomo.
Non appena mi coricai, la cameriera prese la candela e uscì, augurandomi la buona notte. Non doveva essere ancora arrivata al piano di sotto quando il signor H… aprì la porta ed entrò, già in camicia da notte, reggendo due candele accese, e nonostante lo aspettassi mi spaventai. Chiuse la porta a chiave e si avvicinò piano al letto, quindi mi sussurrò: «Non avere paura, cara… sarò dolce e gentile con te». Poi si spogliò e s’infilò a letto. Mentre si spogliava, notai il suo corpo muscoloso, le membra scolpite e il petto villoso.
Il letto traballò sotto il suo peso. Posò le candele accanto sul comodino, senza dubbio per soddisfare maggiormente i suoi sensi: infatti, dopo avermi baciata gettò via le coperte. La vista del mio corpo nella sua interezza parve eccitarlo, perché cominciò a ricoprirlo di baci dappertutto. Allora si inginocchiò tra le mie gambe, sollevò la camicia e mise a nudo le sue cosce irsute e il suo rigido bastone dalla testa rossa, che spuntava in mezzo a una folta distesa di ricci e ricopriva l’addome fino all’ombelico, come fosse una spazzola per il corpo. Allora lo sentii vicino a me, quando affondò il chiodo fino alla capocchia, senza lasciare più nessuno spazio tra i rispettivi peli.
Ora era dentro di me, lo sentivo muoversi, e ben presto il signor H… diede sfogo ai suoi più forti istinti proprio lì, nei suoi quartieri preferiti, dove non potei più resistere e mi abbandonai agli impulsi animaleschi che governano quel centro di attrazione, e alla fine, eccitata e infiammata nel profondo, persi ogni controllo e mi lasciai trasportare dalle emozioni, da donna, concedendomi quelle effusioni di piacere che, per i principi dell’amore fedele, avrei preferito non avere.
Ma com’era diverso quel piacere, un godimento animalesco che nasceva dall’unione dei sessi, un reazione passiva del corpo, che nulla aveva a che vedere con la dolce furia scaturita dall’attiva delizia che corona i piaceri di una reciproca passione amorosa, quella di due cuori uniti da tenerezza e sincerità, che si congiungono per esaltare la gioia e donarle uno spirito e un’anima che non muore come le passioni momentanee una volta raggiunto il culmine del piacere.
Ma il signor H…, senza fare tante distinzioni di sorta, non diede tregua né a lui né a me. Pochi minuti dopo il primo assalto era già pronto per il secondo, come a voler dimostrare che il suo aspetto vigoroso non era solo apparenza: dopo un preludio di baci infuocati, riprese con fervore immutato. Continuò così, senza concedermi un attimo di sosta, fino all’alba. In tutto quel tempo avevo avuto modo di apprezzare le virtù del suo corpo possente, delle spalle quadrate, dell’ampio petto e dei suoi muscoli compatti. In breve, un modello di virilità senza dubbio piuttosto fedele a quello dei nostri antichi e valorosi baroni, una razza ormai raffinata e svilita dai più moderni e delicati damerini, pallidi, graziosi ed effeminati quasi quanto le loro sorelle.
Solo all’alba il signor H… si ritenne pienamente soddisfatto e mi concesse il ristoro del quale avevamo entrambi bisogno, e cademmo così in un sonno profondo.