Come Neifile tacque, avendo molto le donne preso di piacere della risposta di Chichibio, così Panfilo per voler della reina disse.
Carissime donne, egli avviene spesso che, sì come la Fortuna sotto vili arti alcuna volta grandissimi tesori di virtù nasconde, come poco avanti per Pampinea fu mostrato, così ancora sotto turpissime forme d'uomini si truovano maravigliosi ingegni dalla Natura essere stati riposti.
La qual cosa assai apparve in due nostri cittadini, de'quali io intendo brievemente di ragionarvi. Per ciò che l'uno, il quale messer Forese da Rabatta fu chiamato, essendo di persona piccolo e sformato, con viso piatto e ricagnato, che a qualunque de'Baronci più trasformato l'ebbe sarebbe stato sozzo, fu di tanto sentimento nelle leggi, che da molti valenti uomini uno armario di ragione civile fu reputato. E l'altro, il cui nome fu Giotto, ebbe uno ingegno di tanta eccellenzia, che niuna cosa dà la Natura, madre di tutte le cose e operatrice col continuo girar de'cieli, che egli con lo stile e con la penna o col pennello non dipignesse sì simile a quella, che non simile, anzi più tosto dessa paresse, in tanto che molte volte nelle cose da lui fatte si truova che il visivo senso degli uomini vi prese errore, quello credendo esser vero che era dipinto.
E per ciò, avendo egli quella arte ritornata in luce, che molti secoli sotto gli error d'alcuni, che più a dilettar gli occhi degl'ignoranti che a compiacere allo 'ntelletto de'savi dipignendo intendeano, era stata sepulta, meritamente una delle luci della fiorentina gloria dir si puote; e tanto più, quanto con maggiore umiltà, maestro degli altri in ciò vivendo, quella acquistò, sempre rifiutando d'esser chiamato maestro. Il quale titolo rifiutato da lui tanto più in lui risplendeva, quanto con maggior disidero da quegli che men sapevano di lui o dà suoi discepoli era cupidamente usurpato. Ma, quantunque la sua arte fosse grandissima, non era egli per ciò né di persona né d'aspetto in niuna cosa più bello che fosse messer Forese.
Ma, alla novella venendo, dico che avevano in Mugello messer Forese e Giotto lor possessioni; ed essendo messer Forese le sue andate a vedere, in quegli tempi di state che le ferie si celebran per le corti, e per avventura in su un cattivo ronzino da vettura venendosene, trovò il già detto Giotto, il qual similmente avendo le sue vedute, se ne tornava a Firenze. Il quale, né in cavallo né in arnese essendo in cosa alcuna meglio di lui, sì come vecchi, a pian passo venendosene, insieme s'accompagnarono.
Avvenne, come spesso di state veggiamo avvenire, che una subita piova gli soprapprese; la quale essi, come più tosto poterono, fuggirono in casa d'un lavoratore amico e conoscente di ciascuno di loro. Ma dopo alquanto, non faccendo l'acqua alcuna vista di dover ristare, e costoro volendo essere il dì a Firenze, presi dal lavoratore in prestanza due mantellacci vecchi di romagnuolo e due cappelli tutti rosi dalla vecchiezza, per ciò che migliori non v'erano, cominciarono a camminare.
Ora, essendo essi alquanto andati, e tutti molli veggendosi, e per gli schizzi che i ronzini fanno co'piedi in quantità zaccherosi (le quali cose non sogliono altrui accrescer punto d'orrevolezza), rischiarandosi alquanto il tempo, essi, che lungamente erano venuti taciti, cominciarono a ragionare.
E messer Forese, cavalcando e ascoltando Giotto, il quale bellissimo favellatore era, cominciò a considerarlo e da lato e da capo e per tutto, e veggendo ogni cosa così disorrevole e così disparuto, senza avere a sé niuna considerazione, cominciò a ridere, e disse:
– Giotto, a che ora venendo di qua allo 'ncontro di noi un forestiere che mai veduto non t'avesse, credi tu che egli credesse che tu fossi il miglior dipintor del mondo, come tu sé?
A cui Giotto prestamente rispose:
– Messere, credo, che egli il crederebbe allora che, guardando voi, egli crederebbe che voi sapeste l'abicì.
Il che messer Forese udendo, il suo error riconobbe, e videsi di tal moneta pagato, quali erano state le derrate vendute.
Ott 292012