Non aveva ancora finito di sparare tutte le sue idiozie, quando arriva ad occupare la tavola una teglia con dentro un maiale enorme. Noi restiamo senza fiato di fronte a una simile velocità di esecuzione e giuriamo che neppure un galletto domestico si sarebbe potuto cuocere in tempi così brevi, tanto più che quel maiale ci sembrava molto più grosso che non poco prima. Ma Trimalcione, guardandolo e riguardandolo, sbotta: «Come? Questo maiale non è stato sventrato? Per dio, non lo è stato no. Chiamate il cuoco, lo voglio qui immediatamente». E quando il cuoco arriva con la coda tra le gambe e ammette di essersene proprio dimenticato, Trimalcione lo investe: «Cosa? Dimenticato? E lo dici come se avessi scordato di metterci solo il pepe e il cumino? Spogliatelo». Il cuoco viene immediatamente denudato e rimane lì avvilito in mezzo a due autentici boia. Allora tutti attaccano a prendere le sue parti. «Avanti, son cose che succedono» implorano in coro, «per favore, perdonalo: se lo farà un’altra volta, nessuno di noi dirà più una parola per lui». Io, che sono anche fin troppo severo, non riesco a trattenermi, mi chino verso Agamennone e gli sussurro in un orecchio: «Ma questo servo è davvero un cretino! Chi può dimenticarsi di sventrare un maiale? Io, com’è vero iddio, non lo perdonerei nemmeno se avesse scordato di farlo con un pesce». Trimalcione, invece, con l’aria rilassata e divertita, concede: «E va bene: visto che hai la memoria tanto corta, allora sventralo qui davanti ai nostri occhi». E il cuoco, dopo essersi rimesso la tunica, afferra un coltello e, menando colpi a destra e a sinistra con la mano che gli trema, apre il ventre al maiale. Ed ecco che dagli squarci che si dilatano per la pressione del ripieno vengono fuori salsicce e cotechini.
Di fronte a questa trovata, tutta la servitù scoppia in un applauso gridando «Viva Gaio!». Al cuoco tocca anche l’onore di un brindisi, più una corona d’argento, con il bicchiere del cin cin che gli viene offerto su un vassoio corinzio. E siccome Agamennone osservava con grande attenzione il vassoio, Trimalcione precisa: «Sono l’unico ad avere vassoi di Corinto originali». Io mi aspettavo che si lasciasse andare a una delle sue solite sbruffonate, dicendo che i vasi se li faceva portare apposta da Corinto per lui. Invece Trimalcione riesce a fare ancora di meglio. «Forse vorrai sapere perché mai sono l’unico ad avere dei pezzi corinzi originali. Perché il ramaio dal quale compro i vasi si chiama Corinto. E cosa c’è di più Corinzio di quello che produce Corinto? Non pensate che sia un ignorante della grossa, lo so benissimo anch’io qual è l’origine del bronzo di Corinto. Dopo la caduta di Troia, quel gran dritto che era Annibale accatastò in un rogo tutte le statue di bronzo, d’oro e d’argento e ci appiccò il fuoco, così che tutte si mescolarono in un’unica lega. Allora i fabbri ferrai pescarono in quella massa informe e ne fecero bacinelle, vassoi e statuette. Questa è l’origine del bronzo corinzio, che ha dentro un po’ di tutti i metalli, senza però essere né l’uno né l’altro in particolare. Personalmente – lasciatemelo dire – preferisco il cristallo: niente odori e, se solo non si rompesse, mi piacerebbe ancora più dell’oro. Così invece non vale niente.
Eppure un tempo ci fu un artigiano che costruì una bottiglia di vetro infrangibile. Presentatosi al cospetto di Cesare, gliela regalò. Ma poi, dopo essersela fatta restituire, la sbatté a terra. Cesare rimase senza fiato che più non si poteva. Ma il tipo raccattò da terra la bottiglia, che si era giusto un po’ ammaccata come un vaso di bronzo. Poi tirò fuori dalla tasca un martelletto e cominciò tranquillo a rimetterla in sesto. Ormai credeva di tenere Giove per le palle, specie dopo che Cesare gli chiese: “C’è qualcun altro al corrente di questa tecnica di lavorazione del vetro?”. Occhio adesso: non appena quello ebbe risposto di no, Cesare ordinò che gli tagliassero la testa: se infatti quel segreto si fosse saputo in giro, per noi l’oro sarebbe al livello dello sterco.