«Senti un po’, nonnina, sai mica dove abito?». Divertita dalla demenza della mia battuta, risponde: «Lo so sì», si alza e comincia a farmi strada. Io credevo fosse un’indovina e…
Dopo un po’ arriviamo in una zona fuori mano: lì quello spasso di vecchietta scosta una tenda color birulò e fa: «Mi sa che abiti qua». E mentre io le ripetevo che quella casa non l’avevo mai vista, vedo dei tizi che si aggirano furtivi in mezzo a delle scritte invitanti e a prostitute senza niente addosso. Capisco allora, anche se è ormai troppo tardi, di essermi lasciato trascinare in un bordello. Così, imprecando contro il tiro giocatomi dalla vecchia, mi copro la testa e, attraversando il bordello, me la dò a gambe verso la parte opposta, quando ecco che proprio sulla porta mi imbatto in Ascilto pure lui stanco morto come me. Probabile che lì ce l’avesse trascinato la stessa nonnina. Perciò lo saluto con una risata e gli chiedo che cosa ci fa in un buco tanto laido.
Lui si asciuga il sudore con le mani ed esclama: «Se solo sapessi cosa m’è capitato!». «E come faccio a saperlo?» gli faccio io. Ma lui, con un filo di voce, aggiunge: «Mentre stavo girando la città in lungo e in largo senza trovare dove avevo lasciato il nostro alloggio, mi si accosta un tipo stile padre di famiglia e gentilissimo promette di farmi strada lui. Poi però, attraverso una serie di vicoli uno peggio dell’altro, mi ha trascinato fino qua e, tirando fuori di tasca i soldi, ha iniziato a insistere perché cedessi alle sue voglie. La tenutaria si era già presa i soldi della stanza, quello aveva già iniziato a mettermi le mani addosso, e se non fossi stato più grosso di lui, l’avrei pagata cara».
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A tal punto mi sembrava che tutti lì intorno avessero tracannato satirio.
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Unendo le forze ci sbarazzammo di quel rompipalle.
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[ENCOLPIO]. Come se fosse avvolto dalla nebbia, vidi Gitone in piedi sul marciapiedi di un vicolo e mi precipitai a razzo da quella parte.
Mentre mi informavo se il fratellino ci aveva preparato qualcosa da mettere sotto i denti, il povero ragazzo si venne a sedere sul letto, asciugandosi col pollice le lacrime che gli inondavano la faccia. E io, colpito dallo stato del piccolo, gli chiesi che cosa fosse successo. Lui, diciamocelo, dopo un bel po’ e senza troppo entusiasmo, e solo quando dalle preghiere ero passato alle maniere forti, disse: «Il tuo bel fratellino, o degno compare che sia, un attimo fa si è scaraventato qui e ha iniziato a fare di tutto per attentare al mio pudore. E quando io ho attaccato a strillare, lui ha tirato fuori la spada e mi ha detto: “Se giochi a fare Lucrezia, allora eccoti qua il tuo Tarquinio!”».
A sentire queste cose, saltai agli occhi di Ascilto pronto a prenderlo a cazzotti e gli urlai: «Cos’hai da dire tu, culattone passivo che di pulito non hai nemmeno il fiato?». Ascilto finse di andare in bestia e, agitando più forte i pugni, gridò con più voce ancora: «Ma piantala tu, schifoso di un gladiatore scampato al massacro del circo! Pezzo di galera che non sei riuscito a farti una donna a posto nemmeno quando ti tirava ancora. Proprio tu che nel parco mi facevi lo stesso servizio che adesso in questa locanda tocca al ragazzino!». «Sentitelo!» ribattei io, «tu che te la sei svignata nel pieno dell’interrogazione col maestro!».