Portai le mie labbra così vicino alle sue che non poté fare a meno di baciarle, rompendo ogni indugio. Il mio sguardo cadde allora su quella parte della sua uniforme che nascondeva l’oggetto del piacere, e lì vi scorsi un certo gonfiore. Ormai ero così eccitata che non mi potevo fermare sul più bello, non potevo più trattenermi, né assecondare la lentezza dettata dal suo pudore virginale (poiché tale sembrava, e tale era), così portai le mie mani sulle sue cosce e le feci salire su, verso il luogo in cui avrei potuto vedere e sentire il suo rigido arnese, confinato nei pantaloni, di cui le mie dita non potevano percepire la fine. Curiosa e bramosa di svelare un così minaccioso mistero, mi misi a giocare con i bottoni che quasi scoppiavano per la tensione interna. Bastò un tocco per sbottonare il panciotto e la patta, e subito l’affare uscì fuori. Sollevai la camicia e lo liberai per poterlo guardare, e con stupore vidi che non era il giocattolino di un ragazzo, né l’arma di un uomo, bensì un albero della cuccagna di dimensioni così enormi che avrebbe potuto appartenere a un gigante. Non potevo privarmi del piacere di tenerlo in mano e sentire tutta la lunghezza e lo spessore di quell’avorio vivo, dalla forma perfetta, e la cui orgogliosa rigidità ne distendeva la pelle rendendola liscia e vellutata, quasi come quella più delicata del nostro sesso, e il suo candore non era offuscato dal ciuffo di riccioli neri che ne circondavano la base e attraverso il quale si intravedeva la pelle candida che brillava come la luna dietro le fronde degli alberi in cima a una collina. E poi l’incarnato bluastro della testa e le striature blu delle vene, che nell’insieme davano vita alla più sorprendente composizione di forme e colori della natura. In breve, un oggetto che suscitava insieme terrore e delizia.
Ma ancora più sorprendente fu scoprire che il proprietario di tale rarità della natura, per la mancanza di occasioni nell’austerità del suo villaggio, e per il poco tempo trascorso in città, era del tutto ignaro, almeno nella pratica, di come si usasse la virilità di cui era stato dotato. E ora toccava a me la responsabilità della sua prima prova, correndo il rischio, tuttavia, che le eccessive dimensioni della sua fiera macchina potessero distruggere la mia piccola e tenera parte.
Ma ormai era tardi per avere ripensamenti, poiché il giovane, ora surriscaldato e eccitato, non poteva più essere trattenuto dal pudore e dalla paura che fino ad allora lo avevano frenato, e si avventurò, secondo il più forte degli istinti naturali, a infilare le mani tremanti dall’impeto di desiderio sotto la mia veste, afferrando il centro dei suoi ardori, forse incoraggiato dal mio atteggiamento tutt’altro che severo. Oh, allora! Il tocco caldo delle sue dita mi fece sciogliere ogni timore, e in preda a un ardore ormai insopportabile le mie cosce si dischiusero a offrire ogni libertà alla sua mano: e ora, con un movimento perfetto, la sottoveste fu sollevata, liberando una strada troppo ampia e aperta per essere mancata. Il giovane si avventò su di me, e io mi sistemai sotto di lui, il più comoda e aperta possibile ai suoi tentativi, che erano abbastanza sfortunati, poiché la sua macchina, non trovando accesso, colpiva e sbatteva con colpi casuali, ora sopra, ora sotto, ora accanto al bersaglio, finché, bruciante d’impazienza per quei colpi a vuoto, con la mano guidai quella verga furiosa verso il luogo in cui il mio giovane novizio avrebbe avuto la sua prima lezione di piacere. Alla fine trovò il caldo ma insufficiente orifizio, dove non poté far breccia: infatti, pur essendo stato più volte penetrato, era ancora ben lontano dal poterlo accogliere facilmente.
Dietro la mia guida, comunque, la testa della sua ingombrante macchina fu posizionata sul punto critico. Allora, sentendolo poggiare proprio sulla dolce fessura, mi diedi una spinta, incontrando il suo colpo nel momento opportuno, e le labbra, strenuamente dilatate, accolsero l’impeto, ed entrambi sentimmo che aveva guadagnato il giusto alloggio. Nel cercare di raggiungere il suo scopo, con colpi violenti e dolorosi riuscì a penetrare ancora un po’ di più. A quel punto però si fermò, e io provai un miscuglio di piacere e dolore che non saprei definire. Temevo che potesse spingersi oltre, ma anche che potesse sottrarsi: non potevo sopportare ne di tenerlo né di perderlo. Tuttavia, la sensazione di dolore prevalse: le dimensioni e la durezza, e i colpi rapidi e continui con cui tentava di penetrarmi, mi fecero gridare piano: «Oh, caro, così mi fai male». Quelle parole furono sufficienti a fermare il dolce e rispettoso giovane, benché a metà dell’opera. Subito estrasse la dolce causa del mio lamento e, se da un lato i suoi occhi esprimevano con eloquenza il dispiacere per avermi fatto male, dall’altro era riluttante a sottrarsi da quei quartieri caldi e stretti che gli avevano fatto assaggiare un piacere che ora desiderava follemente soddisfare. Tuttavia, era troppo inesperto per non temere che potessi privarlo di quel sollievo a causa del dolore che mia aveva provocato.
Ma io stessa ero tutt’altro che compiaciuta dalla sua ubbidienza alle mie dolci rimostranze, poiché ora ero ancora più accesa da quell’oggetto che si ergeva di fronte a me, in fiera erezione e scappellato, mostrando la sua grossa testa vermiglia. Allora diedi al giovane un bacio d’incoraggiamento, che egli ricambiò con fervore tale che sembrava volermi ringraziare e, allo stesso tempo, invogliarmi a proseguire. Mi rimisi ben presto in una posizione pronta a ricevere, a mio rischio, una nuova invasione, che non si fece attendere un solo istante: non appena rimontato, sentii ancora una volta la liscia e dura cartilagine pronta all’ingresso, che stavolta raggiunse piuttosto facilmente. Nonostante il dolore per i suoi tentativi di penetrare fino in fondo, nel punto che cercava di conquistare pian piano, mi premurai di non lamentarmi. Nel frattempo, la dolce e stretta via poco a poco si ammorbidiva, cedeva e si allargava al massimo al passaggio del grosso e rigido motore, sensibile sia al piacere estatico del sentire sia al dolore della dilatazione, arrivando ad accoglierlo per metà, fino al punto in cui tutta la febbrile attività che esercitava per penetrare affondo non gli fece guadagnare più nemmeno un centimetro. Mentre era lì esitante, fu sopraffatto dalla crisi di piacere, e la calda compressione che lo circondava lo portò a rilasciare il liquido estatico, prima ancora che io fossi pronta a rilasciare il mio, trattenuta dal dolore causato dall’insopportabile grandezza della sua arma, che era penetrata solo per metà.
Mi aspettavo allora, pur senza desiderarlo, che si levasse, ma mi sbagliavo: infatti non desistette. L’instancabile giovane, caldo e inebriato di dolci succhi, decise di farmi capire di essere il mio cavaliere. Dopo un piccola pausa, si destò dall’estasi di piacere (durante la quale sembrava privo di sensi, mentre con gli occhi chiusi e i brevi respiri pagava tributo alla verginità), e riprese il suo posto, non ancora sazio di godimento e di quelle nuove delizie. La sua rigidità, che era solo impercettibilmente calata, recuperò ben presto vigore, e procedette di nuovo a fendere i suoi colpi aprendosi un varco dentro di me, aiutato dall’iniezione balsamica che aveva da poco abbondantemente irrorato le pareti del passaggio. Con colpi vigorosi il doppio, favoriti dal fervido appetito dei miei movimenti, le soffici pareti lubrificate non poterono più resistere a quel grimaldello e cedettero al suo ingresso. E ora, grazie alla natura e alla mia industriosità, egli perforò e penetrò, e alla fine, centimetro dopo centimetro, entrò del tutto, affondando fino all’elsa. Quando se ne rese conto, per la stretta vicinanza dei nostri corpi e il perfetto intreccio dei peli da entrambe le parti, gli occhi del giovane si accesero di un fuoco ancora più vivace, e tutti i suoi sguardi e i suoi movimenti esprimevano un eccesso di piacere che ora cominciavo a condividere, poiché lo sentivo nei miei organi vitali. Ero quasi ubriaca di piacere, sconvolta dai suoi movimenti furiosi, rimpinzata e sazia per quell’indigestione. Giacevo ansimante, in affanno sotto di lui, fino a che i suoi respiri spezzati, i gemiti, gli occhi luccicanti di fiamme umide, i colpi ancora più violenti e l’aumentata rigidità mi fecero capire che stava per avvicinarsi la seconda volta: e infine venne… e il dolce giovane, sopraffatto dall’estasi, crollò tra le mie braccia, sciogliendo un fiotto che colpì i più intimi recessi del mio corpo, dove ora ogni condotto atto al piacere ne era inondato. Restammo così per qualche istante, persi, senza fiato e insensibili a tutto e in ogni parte a eccezione di quelle favorite dalla natura, dove si concentravano i piaceri della vita.