Dic 282015
 

Vivevo ormai da circa sette mesi con il signor H…, quando un giorno, rincasando da una visita a una vicina, dove di solito mi soffermavo più a lungo, trovai il portone aperto, e la portinaia era lì davanti a parlare con una conoscente. Entrai senza bussare, e mentre passavo la portinaia mi disse che il signor H… era di sopra. Salii in camera mia con l’intenzione di togliermi il cappello e di andare ad aspettarlo in sala da pranzo. Ero ancora alle prese con i nastri quando sentii Hannah, la mia cameriera, discutere con qualcuno. Incuriosita, mi avvicinai alla porta della sala e così, grazie a una fessura, potei assistere a una scena davvero interessante, in cui gli attori erano troppo occupati a recitare per accorgersi del mio rientro.

Dapprima vidi il signor H… che spingeva e trascinava quell’insipida contadinotta verso un divano che si trovava in un angolo della sala, mentre la ragazza opponeva una resistenza poco credibile, urlando così “forte” che io, da dietro la porta, riuscivo a malapena a sentirla: «Signore, la prego… via, mi lasci… non sono degna… Davvero, non si può abbassare a una povera donna come me… signore! La padrona potrebbe rientrare da un momento all’altro… No, non posso… mi metto a urlare…». In tutto questo ella si lasciò trascinare ai piedi del divano, dove spinta si lasciò cadere senza troppa fatica. Quando poi il mio gentiluomo si impossessò del centro delle sue virtù, in verità non molto custodite, dovette pensare che ormai era inutile opporre resistenza: le sollevò le sottane sul viso ora paonazzo, scoprendo un paio di cosce sode e carnose, e abbastanza bianche, quindi se le mise intorno ai fianchi, tirò fuori il suo arnese e lo infilò nella fessura di lei, dove sembrò entrare più facilmente di quanto non avesse immaginato (tra l’altro, quella cagna aveva lasciato il suo villaggio per aver partorito un bastardo), e infatti tutti i suoi movimenti lasciavano intendere che fosse comodo in quel posto.

Una volta finito, la ragazzetta si alzò, si sistemò la sottana, il grembiule e lo scialle. Lui la guardava con espressione sciocca. Poi prese qualche moneta e gliela diede, con aria indifferente, dicendole di fare la brava e di non raccontare niente.

Se fossi stata innamorata di lui, non avrei potuto sopportare di assistere in silenzio a quella scena: sarei senza dubbio intervenuta in preda alla furia della gelosia. Le cose però non stavano così, solo il mio orgoglio era stato ferito, ma decisi di aspettare per vedere fin dove si sarebbe spinto, almeno finché non avessi deciso cosa fare.

Ora che la parte più delicata di quegli affari si era conclusa, mi ritirai nel mio stanzino e mi misi a pensare con calma a come mi convenisse agire. La prima idea che mi venne fu quella di irrompere nella stanza e di aggredirli, il che senza dubbio avrebbe placato la mia momentanea frustrazione. Ripensandoci, però, non sapendo bene quali conseguenze mi avrebbe procurato tale reazione, decisi di aspettare un momento più propizio, quando il signor H… avrebbe perfezionato nei miei confronti quelle disposizioni di cui mi aveva accennato, poiché una reazione violenta avrebbe rischiando di mandare all’aria tutto. D’altra parte la provocazione era tale che non potevo sopportarla senza vendicarmi in qualche modo. A poco a poco cominciò a delinearsi nella mia mente un piano di vendetta che mi riportò alla calma, e che persino mi divertiva. Quando fui di nuovo padrona di me stessa, iniziai a recitare la mia parte, quella di chi era all’oscuro di tutto. Scivolai di soppiatto verso la porta divisoria e la aprii rumorosamente, fingendo di essere rientrata in quell’istante. Dopo qualche minuto, come se dovessi sistemare le mie cose, aprii la porta della sala da pranzo, dove trovai la sciacquetta ad attizzare il fuoco e il mio fedele pastore che camminava avanti e indietro fischiettando, tranquillo come se non fosse successo nulla. Credo fosse davvero convinto di avermi ingannata: infatti, misi in pratica l’arte della finzione in cui il nostro sesso eccelle, e andai verso di lui con la stessa apertura e spontaneità di sempre. Restò con me solo per poco, e poi con una scusa mi disse che non avrebbe potuto fermarsi quella sera, e se ne andò.

Quanto alla sgualdrina, la licenziai, almeno come mia cameriera personale: infatti, neppure quarantotto ore dopo quello che era successo con il signor H…, quell’insolente mi diede un ottimo motivo per mandarla via su due piedi, tanto che sarebbe stato strano il contrario. Così il signor H… non poté disapprovare, né sospettare del motivo originale. Non ne ho mai più saputo nulla, ma di certo il signor H… avrà provveduto ad aiutarla con la sua solita generosità benché, ne sono sicura, quello a cui avevo assistito fosse stato il loro primo e ultimo rapporto del genere. Doveva essersi trattato solo di un improvviso attacco di libidine, la voglia di assaggiare quella bella e formosa campagnola, non tanto per fame, quanto per variare la solita dieta.

Se fossi stata capace di considerare questa scappatella del signor H… nella sua giusta luce, come una cosa senza importanza, una volta licenziata quella sgualdrina della mia cameriera tutto sarebbe andato per il meglio. Eppure mi sentivo talmente ferita nell’orgoglio per chissà quali torti immaginari, che decisi che il signor H… se la sarebbe cavata troppo a buon mercato se non avessi portato avanti la mia vendetta e non lo avessi ripagato della stessa moneta.

L’occasione per farmi giustizia si presentò ben presto. Da un paio di settimane il signor H… aveva assunto al suo servizio il figlio di un suo mezzadro, appena arrivato dalla campagna. Era davvero un bel ragazzo, di circa diciannove anni, fresco come una rosa e dal corpo ben tornito: insomma, un giovane che avrebbe fatto la felicità di qualsiasi donna, anche senza che ci fossero di mezzo questioni di vendetta; qualsiasi donna, intendo, così spregiudicata e audace da preferire il piacere all’orgoglio.

Il signor H… gli aveva messo addosso una livrea e gli aveva affidato il compito di portare i messaggi dal mio appartamento al suo. La mia posizione di mantenuta non era certo la più indicata per ispirare rispetto al più infimo degli uomini, e forse meno ancora al più ignorante. Ma questo caso faceva eccezione perché avevo avuto modo di notare che il ragazzo, che forse era venuto a conoscenza della mia relazione con il suo padrone dagli altri inservienti, era solito guardarmi con timidezza e confusione, atteggiamento che per noi donne equivale a più di una dichiarazione. Sembrava proprio che la mia figura lo avesse colpito, ma era così timido e innocente che non si rendeva conto che quello che sentiva per me era amore o desiderio. Non immaginava nemmeno che i suoi occhi bramosi e infuocati dalla passione potessero parlare più di quanto avesse immaginato. Fino ad allora, a dire il vero, mi ero limitata ad ammirare la bellezza della sua giovinezza, senza altri fini, perché ero troppo orgogliosa. Ma il tradimento del mio signore, che si era abbassato fino alla mia cameriera, mi aveva dato un cattivo esempio, quindi presi a guardare quel giovanotto come un delizioso strumento di vendetta.

Quindi cominciai a porre le basi per il mio progetto, facendo in modo che venisse ammesso alla mia presenza quando ero ancora a letto o nello spogliatoio, mentre mi cambiavo, e di tanto in tanto gli lasciavo intravedere di proposito un seno un po’ più scoperto, oppure quando avevo i capelli sciolti e li pettinavo, altre volte una coscia mentre sistemavo la giarrettiera, che casualmente era caduta: tutto ciò suscitò in lui impressioni favorevoli al mio scopo, che potevo scorgere dai suoi occhi luminosi e dalle guance che arrossivano. Infine, qualche leggero sfioramento di mani mentre mi consegnava le lettere diede il colpo di grazia.

Quando mi parve che fosse abbastanza eccitato per i miei scopi, lo infiammai ancora di più con alcune domande mirate: «Ce l’hai l’amichetta?… E dimmi, è più bella di me?… Faresti l’amore con una come me?», e così via. Il timido sempliciotto rispondeva a ogni quesito, con tutta l’innocenza e goffaggine di un ragazzo di campagna.

Quando ritenni che fosse giunto il momento di raccogliere i frutti del mio lodevole piano, feci in modo di trovarmi sola per l’ora in cui sapevo che doveva arrivare. Così, quando bussò alla porta della sala da pranzo lo pregai di entrare e di mettere il chiavistello, perché la porta non si chiudeva bene.

Nel frattempo mi ero distesa su quello stesso divano dove il signor H… si era allegramente intrattenuto, con addosso solo una leggera veste da camera, slacciata e in disordine: niente corpetto, niente crinolina, niente ingombri di sorta. Il giovane rimase immobile, tenendosi a una certa distanza, permettendomi così di ammirare quel suo bel corpo tornito e vitale che esalava il dolce profumo del fiore della giovinezza. I capelli erano di un nero intenso, con riccioli che gli incorniciavano il volto. I pantaloni di pelle erano così aderenti che non nascondevano le cosce robuste e tornite; calze bianche, livrea e spalline non sminuivano le bellezze del suo corpo.

Lo pregai di venirmi più vicino e di porgermi la lettera e allo stesso tempo lasciai cadere un libro che avevo in mano. Il ragazzo arrossì e si avvicinò per consegnarmi la lettera che teneva in modo goffo mentre i suoi occhi erano fissi sul mio petto, che il disordine della veste metteva sufficientemente in evidenza.

Gli sorrisi guardandolo negli occhi, afferrai la lettera e lo presi per una manica, attirandolo verso di me. Era tutto rosso e tremante: di certo la sua inesperienza e la sua timidezza richiedevano un certo incoraggiamento da parte mia. Ora il suo corpo era abbastanza vicino, e accarezzandogli con dolcezza il viso imberbe, gli dissi che non doveva avere paura di una signora, e così gli presi le mani e le portai sul mio seno premendole su di esso. Ora le mie protuberanza erano ben formate e più carnose, al punto che, palpitanti di desiderio, i capezzoli si indurirono sotto il tocco della sua mano. A questo punto gli occhi del ragazzo cominciarono a brillare di eccitazione. Arrossì con violenza, e la sua agitazione era tale che non riusciva a parlare: ma gli sguardi e la sua emozione mi permisero di capire che ormai aveva abboccato e che non mi avrebbe delusa.

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