Mar 162015
 

L’indomani allo spuntare del giorno, andai a sistemarmi nel mio nascondiglio. Mi misi tra alcuni cespugli che si trovavano dietro una specie di boschetto di carpini, ornato di statue e con alcune panchine di legno dipinte di verde. Dopo un’ora di impazienza, i miei eroi arrivarono e vennero a sedersi precisamente sulla panchina dietro la quale mi ero nascosta.

«Sì, davvero», disse l’Abate arrivando, «quella ragazza diventa ogni giorno più graziosa; le sue tette si stanno gonfiando; possono benissimo riempire la mano di un onesto ecclesiastico. Gli occhi hanno una vivacità che non smentisce il fuoco del temperamento, perché deve averne uno piuttosto caldo, quella piccola briccona di Thérèse. Pensa, che approfittando del permesso che le ho dato di accarezzarsi col dito, lo fa almeno una volta al giorno. Dovete ammettere che sono un buon medico oltre che un docile confessore: le ho guarito il corpo e lo spirito».

«Abate mio», replicò Madame C…, «hai finito con la tua Thérèse? Siamo venuti qui per parlare dei suoi begli occhi e del suo temperamento? Credo proprio, signor porco, che vi frulla in mente di levarle l’incomodo di applicare da sola la vostra ricetta. Del resto, lo sai che sono una brava organizzatrice, e acconsentirò volentieri se sarò sicura che non te ne verrà qualche guaio. Thérèse ha dello spirito, ma è troppo giovane e non conosce ancora abbastanza il mondo per dire di sì. Ho notato, però, che la sua curiosità è senza pari. C’è di che farne, in seguito, un ottimo soggetto. Se non ci fossero di mezzo gli inconvenienti che ho appena detto, ti proporrei senz’altro di metterla come terza nei nostri piaceri, visto che siamo d’accordo sul fatto che è pazzesco essere gelosi o invidiosi della felicità dei propri amici, purché questa loro felicità non ostacoli la nostra».

«Davvero, Madame, avete ragione», disse l’Abate. «Quelle due passioni tormentano inutilmente tutti quelli che non sono nati per la Filosofia. Bisogna però distinguere l’invidia dalla gelosia. L’invidia è una passione innata nell’uomo; fa parte della sua essenza: i bambini in fasce sono invidiosi di quello che si dà ai loro simili. Non c’è che l’educazione che possa mitigare questo sentimento che riceviamo dalle mani della Natura. Ma cosa ben diversa è invece la gelosia, considerata in rapporto ai piaceri dell’amore. Questa passione è l’effetto del nostro amor proprio congiunto col pregiudizio. Si conoscono interi Paesi dove gli uomini offrono agli invitati il godimento delle loro donne, così come noi offriamo ai nostri il miglior vino della nostra cantina. Un abitante delle isole tropicali è gentile con l’amante che gioisce degli abbracci della sua donna: i suoi compatrioti lo approvano e si congratulano con lui. Un francese, nello stesso caso, fa il broncio; ognuno lo segna a dito e si burla di lui. Un persiano, poi, pugnala l’amante e la donna, e tutti applaudono a questo doppio assassinio.

«È dunque evidente che la gelosia non è una passione che riceviamo dalla Natura: sono l’educazione, i pregiudizi del Paese dove si nasce che la generano. Fin dall’infanzia una ragazza di Parigi legge e sente dire che è umiliante sopportare un’infedeltà dal proprio amante: a un ragazzo viene invece inculcato che una puttana, una donna infedele, ferisce l’amor proprio, disonora l’amante o il marito. Da questi princìpi, succhiati per così dire con il latte materno, nasce la gelosia, questo mostro che tormenta la maggior parte dell’umanità per un male che non ha nulla di reale.

Allo stesso modo, distinguiamo l’incostanza dall’infedeltà. Io amo una donna dalla quale sono riamato. Il suo carattere simpatizza con il mio; la sua figura, la sua gaiezza fanno la mia felicità. Questa donna mi lascia: qui il dolore non è più effetto del pregiudizio, ma è ragionevole. Io perdo un bene effettivo, un piacere a cui ero abituato e che non sono affatto sicuro di poter rimpiazzare con tutte le sue gioie; ma una infedeltà passeggera, fatta soltanto per godimento, o per temperamento, o qualche volta addirittura per riconoscenza di un cuore tenero e sensibile al dolore o al piacere altrui, quale inconveniente potrebbe arrecare? In verità, qualsiasi cosa si dica, è poco sensato inquietarsi per ciò che giustamente si chiama un colpo di spada nell’acqua, ovvero una cosa che non ci fa né bene né male».

«Oh! vi vedo arrivare al punto», disse Madame C… interrompendo l’Abate, «in cui mi annuncerete tanto dolcemente che, per buon cuore o magari per far piacere a Thérèse, sarete voi l’uomo che le donerà una piccola lezione di voluttà, un clisterino amabile, che secondo voi a me non dovrebbe fare né bene né male. Va’ pure, mio caro Abate», continuò lei, «acconsento con gioia; vi amo tutti e due. Ambedue guadagnerete qualcosa da questa esperienza, e io non ci perderò nulla: perché dovrei oppormi? Se me la prendessi, tu concluderesti con ragione che io amo esclusivamente la mia soddisfazione personale, aumentandola alle spalle di quello che tu puoi gustare altrove. E questo non è giusto. Io so trarre la mia felicità indistintamente da tutto ciò che può contribuire ad aumentare la tua. Tirando le somme, amico mio, tu puoi, senza temere di dispiacermi, stropicciare del tuo meglio la fichetta di Thérèse: sarà un gran bene per quella povera ragazza. Ma, te lo ripeto, attenzione alle imprudenze…».

«Che follia!», esclamò l’Abate, «vi giuro che non penso affatto a Thérèse. Ve ne ho parlato semplicemente per spiegarvi il meccanismo attraverso il quale la Natura…».

«Bene! Non ne parliamo più», replicò Madame C… «Ma, a proposito di Natura, ti stai dimenticando, mi sembra, la promessa che avevi fatto. Chiariscimi dunque che cos’è questa buona madre. Voglio vedere come te la caverai con questa dimostrazione, visto che hai la pretesa di spiegare tutto».

«D’accordo», rispose l’Abate, «ma tu sai, mammetta mia, quello che devo fare innanzitutto; non riesco a occuparmi di nulla se non sfogo il bisogno che più di tutti stimola la mia immaginazione. Le altre idee non sono mai nette, si trovano sempre assorbite e confuse da quella. Ti ho già raccontato che quando mi trovavo a Parigi mi occupavo quasi esclusivamente della lettura e delle scienze, anche le più astratte. Lì avevo una ragazzetta proprio ad hoc, come si possiede un vaso da notte per pisciare, alla quale, quando sentivo il pungolo della carne trapassarmi, facevo una o due volte questo grosso bisogno, in un modo che non vi consiglio di assaggiare. Allora, lo spirito tranquillo, le idee decise, mi rimettevo al lavoro; e sostengo che ogni uomo di studio che abbia un po’ di temperamento deve usare questo rimedio così necessario alla salute del corpo e dello spirito. Dirò di più: affermo che ogni uomo onesto, che conosce i doveri della società, ne deve fare uso per assicurarsi di non essere troppo eccitato mentre si applica ai suoi doveri, corrompendo la moglie o la figlia di un suo amico o di un suo vicino. Ora mi chiederete, Madame», continuò l’Abate, «come devono fare le donne e le ragazze. Hanno, mi direte, gli stessi bisogni degli uomini, sono della stessa pasta. Nello stesso tempo, però, non possono servirsi delle medesime risorse: l’onore, il timore di una persona indiscreta o di un malintenzionato, la paura di avere bambini non permettono loro di ricorrere agli stessi rimedi degli uomini. E d’altro canto, aggiungerete, dove trovare questi uomini sempre pronti, come quella vostra ragazzetta ad hoc? Ebbene, Madame», proseguì l’Abate T…, «che le donne e le ragazze facciano come Thérèse e voi. E se questo gioco non piace loro abbastanza (come in effetti non piace a tutte), si servano di quegli ingegnosi strumenti chiamati godemiché, che sono un’imitazione abbastanza fedele alla realtà. Aggiungete poi quello che si può immaginare con la fantasia. In fin dei conti, vi ripeto, sia gli uomini che le donne devono procurarsi solo quei piaceri che non possono turbare l’assetto della società. Le donne devono gioire di quelli che a loro convengono, avendo riguardo per i doveri imposti da questo stato di cose. Avete un bel gridare all’ingiustizia; quella che voi prendete come un’ingiustizia personale assicura il bene di tutti, che nessuno deve tentare di trasgredire».

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