— Il mio secondo fratello, chiamato Bakbarah lo sdentato, camminando un giorno per la città incontrò una vecchia in una strada remota, la quale lo fermò per dirgli:
— Se avete tempo di venir meco, vi condurrò in un Palazzo magnifico, ove vedrete una dama più bella del sole, la quale vi accoglierà con molto piacere e vi darà da far colazione con eccellente vino.
Bakbarah avendo accettato, s’incamminò colla vecchia. Giunsero alla porta di un gran Palazzo, ove erano molti ufficiali e servitori. Alcuni volevano fermar mio fratello: ma non appena la vecchia ebbe loro parlato, lo lasciarono passare.
Quella allora, voltasi a mio fratello, gli disse:
— Ricordatevi adunque che la giovine dama, nella di cui casa vi conduco, ama la dolcezza ed il contegno. Non vuol essere contraddetta.
Bakbarah la ringraziò di questo avviso, e promise di profittarne. Essa lo fece entrare in un bell’appartamento corrispondente alla magnificenza del palazzo, attorniato da una galleria ed avente nel mezzo un bellissimo giardino.
Mio fratello udì all’improvviso un grande strepito, proveniente da una schiera di schiave allegre, le quali vennero a lui facendo schiamazzi di risa; nel mezzo di quelle vide una giovane dama di una singolare bellezza. Essa occupò il luogo d’onore, e poscia lo pregò di sedere, dicendogli con aria ridente:
— Sono molto contenta di vedervi e vi auguro tutto il bene immaginabile!
— Signora — le rispose Bakbarah — non ne posso bramare uno maggiore, se non l’onore di stare alla vostra presenza.
— Parmi che siate di umore allegro — replicò essa
— quindi approverete di buona voglia che passiamo insieme allegramente il tempo.
Ciò detto comandò si preparasse la colazione, e immantinente fu imbandita la tavola. Si assise poscia con le schiave e con mio fratello. Essendosi egli collocato in faccia alla dama, questa si accorse che egli non aveva denti, ed osservar lo faceva alle schiave, le quali ne ridevano di tutto cuore con lei.
Terminata la colazione, tutti si alzarono da tavola.
Dieci schiave presero gli strumenti, altre si diedero a danzare. Mio fratello danzò egli pure, e la dama ancora fece lo stesso. Dopo di aver per qualche tempo ballato, tutti si assisero per riposarsi e prender fiato.
La dama gli fece porgere un bicchier di vino, e sorridendo guardò mio fratello, per fargli intendere che essa beveva alla sua salute.
Egli si alzò e stette in piedi mentre questa beveva, ed essa invece di restituire il bicchiere lo fece riempire e lo presentò a mio fratello perché facesse lo stesso.
Questi prese il bicchiere dalla mano della dama, e bevette in piedi, in riconoscenza del favore fattogli.
La giovine dama poscia lo fece sedere vicino ad essa, e principiò ad accarezzarlo. Gli appoggiò la mano dietro il capo, dandogli di quando in quando dei piccoli schiaffi. Rapito, quasi fuori di sé per tali favori, riputavasi il più felice uomo del mondo, e sentivasi tentato egli pure di scherzare con questa vaga persona, ma non ardiva pigliarsi tal libertà alla presenza di tante schiave, le quali tenevano sempre gli occhi fissi su di lui.
La giovine dama continuò a dargli schiaffi leggieri: ma alla fine gliene applicò uno sì forte, che egli ne rimase scandalizzato.
Le sue schiave, studiandosi di divertirla, entrarono nel giuoco: l’una dava al povero Bakbarah dei buffetti sul naso, l’altra gli tirava l’orecchio a segno di strapparglielo, ed altre gli applicavano schiaffi, che passavano i limiti dello scherzo.
Mio fratello tollerava ogni cosa con una meravigliosa sofferenza, affettando pure un’aria allegra, e guardando la vecchia con un forzato sorriso.
La dama allora prese la parola, e disse a mio fratello:
— Voi siete un brav’uomo: io sono molto contenta di ritrovare in voi tanta dolcezza per i miei leggieri capricci.
— Signora, — ripigliò Bakbarah, incantato da questi discorsi — io non sono più padrone di me, sono tutto vostro, e a vostro agio potete di me disporre.
Mio fratello era rapito fuor di sé stesso, tanto era il suo contento. La giovine dama comandò alle schiave di principiar di nuovo i loro concerti.
Esse obbedirono, e in questo mentre la dama fece venire un’altra schiava e le ordinò di condurre mio fratello con lei, dicendole:
— Fategli quello che voi sapete, poscia riconducetemelo.
— Guardatevi dall’opporvi a quanto da voi si esige — ripigliò la vecchia — precipitereste i vostri affari i quali vanno a gonfie vele. Siete amato, e vi si vuol rendere felice.
Bakbarah si arrese alle ragioni della vecchia, e senza proferire una sola parola, lasciossi condurre dalla schiava in una camera, ove gli furono dipinte le sopracciglia di rosso, rasi i mustacchi, la barba e lo rivestirono da donna.
Una volta vestito da donna venne condotto alla presenza della giovine dama, la quale proruppe in sì grasse risate vedendolo, che si riversò sopra il sofà ove se ne stava assisa. Le schiave fecero altrettanto, battendo le mani in modo tale, che mio fratello rimase molto imbarazzato a conservare il suo contegno.
La giovine dama si alzò e senza poter tralasciar di ridere, gli disse:
— Dopo la compiacenza per me avuta, avrei torto di non amarvi con tutto il mio cuore: ma bisogna fare ancora una cosa per mio amore, ed è di danzare nel modo in cui siete.
Egli obbedì, e la giovine dama e le schiave danzarono con esso, ridendo come pazze.
Dopo aver ballato per qualche tempo, si avventarono tutte sopra quel miserabile, e tanti schiaffi gli diedero, tanti pugni e calci, ch’egli cadde a terra, quasi privo di sentimenti.
La vecchia lo aiutò a rialzarsi, e per non dargli tempo di risentirsi del pessimo trattamento fattogli:
— Consolatevi — gli disse all’orecchio — è giunta finalmente la fine de’ vostri patimenti e siete per riceverne il premio. Non vi resta se non ad eseguire una bagatella. Ascoltate: la mia padrona è solita, quando ha un poco bevuto come oggi, di non lasciarsi avvicinare se non da quelli che sono in sottoveste; in tale stato si mette a correre avanti ad essi per la galleria, e di camera in camera finché venga colta. Questa, ancora è una delle sue bizzarrie: voi siete agile e robusto ed in breve avrete il piacere di afferrarla. Ponetevi adunque presto in camicia e non fate smorfie.
Il mio buon fratello avea già fatto troppo per dispensarsi da simile inezia. Spogliossi ed intanto la giovine dama si fece levar la veste, rimanendo in sottana, per correre con maggior facilità.
Quando entrambi furono in istato di principiar la corsa, la giovine dama pigliò il vantaggio di venti passi circa, e si pose a correre con una agilità meravigliosa. Mio fratello la seguì di tutta sua possa, non senza eccitare le risa di tutte le schiave, che battevano le mani.
La giovine dama gli fece fare due o tre giri nella galleria, poscia entrò in una lunga sala oscura, da cui scappò per un andirivieni a lei ben noto.
Bakbarah, avendola perduta di vista, si vide obbligato a correre meno frettolosamente a causa dell’oscurità. Osservò finalmente un lume, verso il quale ripigliò il suo corso, ed uscì da una porta, la quale subito gli fu serrata dietro.
Immaginatevi se ebbe ragione di essere sorpreso, ritrovandosi nel mezzo di una strada di conciatori di pelli.
Essi non lo furono meno nel veder lui in camicia con le ciglia dipinte di rosso, senza barba e senza mustacchi. Principiarono a batter le mani, a fischiarlo, e molti gli corsero dietro, e lo sferzarono con staffili di pelle. L’arrestarono pure, lo posero sopra un asino, incontrato a caso e lo condussero per la città esposto alle risa di tutto il popolaccio.
Per colmo di disgrazia, passando davanti alla casa del Luogotenente criminale, questo giudice volle sapere la cagione di quel tumulto. I cuoiai gli dissero aver veduto uscire mio fratello nello stato in cui ritrovavasi, da una porta dell’appartamento delle donne.
A questa relazione il giudice fece dare allo sfortunato Bakbarah cento bastonate sotto la pianta dei piedi, indi lo fece condur fuori della città con la proibizione di non rientrarvi mai più.